Il fenomeno dei vini vulcanici o, meglio, dei vini da suoli vulcanici, è tra i più interessanti delle ultime stagioni. Da alcuni anni, la critica internazionale ne discute, i degustatori professionisti ne esaltano le caratteristiche e i buyer hanno già intravisto l’affare.
Inoltre, la comunità scientifica (non tutta) sta ascoltando e appoggiando le sollecitazioni dei produttori. Insomma: è un momento felice. Dal 2017 si nota anche un’accelerata nella comunicazione che parte dalla vigna e arriva a un consumatore più evoluto e più interessato alle particolarità e, se vogliamo, agli aspetti legati allo storytelling evocativo sui vini dei vulcani.
La prima convention internazionale tenuta a New York lo scorso marzo, su iniziativa del master sommelier John Szabo (autore del libro Volcanic Wines: Salt, Grit and Power, uscito nel 2016), ha sottolieato le potenzialità di questi prodotti dando loro un posto di rilievo tra i vini del terzo millennio.
Le aree modniali di produzione: Napa Valley (California), Casablanca Valley (Cile), Santorini (Grecia), Kaiserstuhl (Germania), Rias Baixas e Canarie (Spagna), Isole Azzorre e Madeira (Portogallo), Alture del Golan (Siria e Israele), Yarra Valley (Australia) sono aree di questa grande famiglia, che spesso si fregia anche di riconoscimenti come quello Unesco appena ottenuto dalla regione di Puy de Dome (Loira), che include la denominazione Cotes d’Auvergne.
Spostandoci sui suoli italiani, l’elenco è lungo: alcune zone nel territorio di Soave e dei Monti Lessini, i Colli Euganei in provincia di Padova, il territorio della Valsesia nell’Alto Piemonte, il Lazio con i Castelli Romani, Montefiascone, Pitigliano e Sorano, l’Umbria con Orvieto, la Campania coi Campi Flegrei e il Vesuvio, la Basilicata col Vulture, la Sicilia con l’Etna, Pantelleria e le Isole Eolie, la Sardegna con Mogoro. Un totale di 17 mila ettari, e una produzione potenziale di oltre un milione di ettolitri. Oggi, 19 territori sono riuniti nell’associazione Volcanic Wines network. Il marchio Volcanic Wines è detenuto dal Consorzio del Soave, che lo ha registrato nel 2013 mettendolo a disposizione delle aziende con un preciso regolamento d’uso. La novità è che partendo dall’attuale mappa dei suoli vulcanici, consorzi e produttori vogliono arrivare a una certificazione scientifica. E una parte della comunità scientifica risponde positivamente a questa richiesta.
Fonte: Gambero Rosso