Vino: per l’Unione Italiana Vini si tratta di un sistema troppo difficile da spiegare sui mercati esteri Ostacoli al settore anche dalla politica Ue «che tende a definire dannoso persino il consumo moderato».
In Europa si sta affermando una nuova ondata di protezionismo anti alcol. Si sta facendo strada nelle Politiche Ue l’idea di un “no safe level” ovvero che non esista un livello minimo di consumo di alcol sicuro per la salute dei consumatori ma che qualsiasi livello sia di per sé dannoso. Combatterla è il principale compito che i produttori di vino made in Italy affidano al prossimo Governo.
Il tema “vino & salute” infatti è al primo posto di un memorandum sulle emergenze del settore vitivinicolo che l’Unione italiana vini presenterà nei prossimi giorni agli schieramenti in lizza per le elezione che II Sole 24 Ore ha potuto visionare. «Non è una questione di principio – spiega il segretario generale dell’Unione italiana vini, Paolo Castelletti – ma un tema che speravamo di aver superato ma che invece è tornato in forme dal quale possono discendere gravissime ripercussioni per il nostro settore. A Bruxelles si stanno convincendo che quei prodotti alimentari che possono essere dannosi per la salute come il vino ma anche i salumi o le carni non possano essere oggetto di iniziative promozionali cofinanziate da fondi Ue ma vadano assoggettati a una tassazione specifica (introduzione di un`accisa minima) e debbano riportare dei warnings in etichetta».
La prima misura a essere a rischio è la promozione prevista dal regolamento n41/2014 che riguarda le iniziative orizzontali a favore di diverse tipologie di produzioni, tra le quali il vino. Ma se dovesse affermarsi questa linea subito dopo a rischiare potrebbe essere anche la misura promozione sui mercati Terzi prevista dall’Ocm vino e che negli ultimi 20 anni ha garantito all’Italia un budget di circa 30o milioni l’anno.
«L’idea del no safety level non ha riscontri nella realtà -prosegue Castelletti -. Qualsiasi prodotto alimentare può essere dannoso perla salute se non consumato in maniera corretta. Decisivi quindi sono la distinzione tra consumo e abuso e l’affermazione di stili di vita come quello della Dieta mediterranea che contempla un consumo mode rato e consapevole divino. Un modello che invece di essere demonizzato andrebbe promosso con i nuovi sistemi di etichettatura. Bisogna attivarsi per creare su questi temi alleanze in Europa a partire dai Paesi Mediterranei e poi promuovere la ricerca scientifica che avvalora queste tesi. Di recente è stato diffuso dal Wine Information Council uno studio nel quale si dimostra come un consumo moderato (non superiore a due bicchieri al giorno negli uomini, uno perle donne) divino sia associato, negli over 4o, a una bassa incidenza di malattie cardiovascolari e diabete».
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«Oltre 500 tra etichette DOC, DOCG e IGT sono troppe – aggiunge Castelletti -. Senza contare che tra queste le prime io coprono il 50% delle bottiglie vendute mentre un terzo imbottiglia meno del 40% del prodotto. Un sistema troppo complesso da spiegare sui mercati esteri. Penso a una razionalizzazione che parta dal basso sul tipo di quella effettuata di recente in Abruzzo o anche dalla Doc Sicilia. Ovvero un modello nel quale ci sia un’etichetta prevalente e poi l’indicazione di sottozone o di specifiche aree geografiche. Senza per forza farne nuove Doc».
Di grande interesse è infine la frontiera dei vini low alcol o dealcolati «I vini con meno alcol o del tutto privi – dice ancora Castelletti – sono un’opportunità. Uno spazio di mercato che se non occuperemo noi, produttori di uva, lo faranno altri. In più si tratta di una leva che d può avvicinare alle giovani generazioni che al momento non guardano al vino, ma a bevande alternative con una gradazione tra 5 e 6 gradi. Mentre partendo da quelle potrebbero poi avvicinarsi al vino. Bisogna però adeguare la normativa. Nel Testo unico del vino è vietato di detenere in cantina prodotti con una gradazione inferiore a 8 gradi. Così restiamo ai margini di un mercato che presto sarà importante».
Fonte: Il Sole 24 Ore