Bolgheri DOP e Bolgheri Sassicaia DOP, due D.O. blidate, dove gli ettari vitati non aumentano, ma il valore della vigna sì. Scrigno di nomi ormai leggendari, oggi continua nell’opera di valorizzazione del marchio territoriale e in un prossimo futuro insegue una certificazione sulla sostenibilità.
Su Bolgheri e i suoi vini è stato detto e scritto di tutto: le vicende legate al marchese Mario Incisa della Rocchetta e alla nascita del Sassicaia, ma non solo, sono entrate a far parte della storia del vino italiano che si studia sui banchi di qualsiasi scuola o università si occupi di vino, presente in Italia o nel mondo.
Nonostante questo, così come succede per i grandi brand che hanno un posizionamento consolidato, nessuno rimane placidamente fermo a bearsi sui propri allori. Un approccio assolutamente comprensibile, considerando che in fondo la denominazione e il territorio sono ancora giovani. Il primo disciplinare data 1983, ma quello che ha incluso Merlot e Cabernet, e quindi tutti i celeberrimi Supertuscan del territorio che hanno reso iconico questo areale, è solo del 1994.
Avere tanti nomi prestigiosi, tutti assieme, all’interno di una stessa denominazione, è tuttora un’opportunità per entrare in certi mercati o un peso per una denominazione che ora vuole far conoscere soprattutto il nome del suo territorio? «Nel nostro caso sono assolutamente un asset di indiscusso valore, anche perché, e di questo va dato merito a queste aziende, anche quelle più celebri hanno sempre supportato al 100% le attività del Consorzio», ci spiega Riccardo Binda, al timone del locale Consorzio per la tutela dei vini DOC Bolgheri e DOC Bolgheri Sassicaia che ne rappresenta 73, praticamente 99% di quelle che hanno nel vino il business principale.
«Partecipano sempre agli eventi, anche se molte di loro non ne avrebbero assolutamente bisogno. Però, così facendo, aiutano il territorio a promuoversi: hanno la consapevolezza che, benché siano già posizionate nel modo migliore possibile sul mercato, più un territorio cresce, più in qualche modo un’azienda consolida anche la sua posizione».
I numeri che fotografano le due denominazioni – Bolgheri DOP e Bolgheri Sassicaia DOP – sono quelli di un territorio piccolo e blindato nel numero degli ettari a disposizione. «Sono 1370 ettari, la nostra è una Doc chiusa», continua Binda. Tradotto in bottiglie significa circa, al netto dei differenti andamenti vendemmiali, 7 milioni ogni anno, la stragrande maggior parte di vino rosso. «Mediamente il prezzo ex cellar delle bottiglie si posiziona tra i 20 e i 21 euro, il che ci induce a stimare un fatturato della denominazione tra i 155 e i 160 milioni di euro all’anno come ordine di grandezza».
Nonostante la fama, quasi leggendaria, di molte etichette nel mondo, l’export oggi si aggira tra il 55 e il 60%, una quota che si è lentamente ridotta nel corso degli anni rispetto al passato, quando molte aziende arrivavano anche al 90%.
Una ricerca di maggior spazio sul mercato domestico che secondo il direttore del Consorzio è da salutare positivamente, spinta da tanti fattori, a partire dalla maggior conoscenza del marchio Bolgheri e dall’ospitalità sul territorio, sempre più importante. All’estero, dopo gli Usa, spicca l’importanza della Svizzera come Paese importatore, che pesa poco meno del 10%.
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Fonte: Civiltà del Bere