A distanza di tre anni dal regolamento comunitario che introduceva i dealcolati e parzialmente dealcolati, sembra che per la nuova trendy categoria dei No-Lo (no e low alcohol) sia in arrivo il lieto fine. L’approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni della bozza del decreto che ne disciplina la produzione nazionale apre le porte anche all’Italia, liberata finalmente dalla dipendenza dalla Germania, a costi più alti.
Si attende solo la firma al decreto (in arrivo entro fine anno) del ministro Francesco Lollobrigida, ma ormai pare tutto fatto. Un mercato che potrebbe ritagliarsi una nicchia anche nel nostro Paese, dove questi prodotti interessano consumatori trasversali.
Soprattutto il soggetto tra i 25 e 44 anni, spesso donna, che tende a spendere di più e pone maggiore enfasi su uno stile di vita sano e vuole provare cose nuove, come ha rilevato una ricerca di Niq.
“In Italia il 36% dei consumatori è interessato a consumare bevande dealcolate” ha rilevato il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti.
Secondo l’International Wines and Spirits Record (Iwsr) il consumo di bevande NoLo nei 10 principali mercati del mondo dovrebbe crescere in volumi, fino al 2027, a un tasso annuo del 7% per i no alcohol e del 3% per i low alcohol. Che l’Italia fosse fuori dal giro rispetto ai grandi Paesi Ue appariva un paradosso.
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Il regolamento
In base allo schema di Decreto ministeriale presentato alla filiera dal ministro dell’Agricoltura Lollobrigida, la nuova classificazione dovrebbe distinguere tra dealcolizzati (titolo alcolometrico non superiore a 0,5%) e parzialmente dealcolizzati (titolo alcolometrico superiore a 0,5% ma inferiore al minimo della categoria originale, 8,5%/9%).
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Fonte: Mark-Up