Strano destino quello del Verdicchio delle marche . Aveva conquistato il mondo. Con una bottiglia di design. Poi è stato travolto dal suo successo. Ed ora è rinato,
pronto a sfidare i grandi bianchi francesi e bianchi di fascia alta di altri Paesi.
È un vino bifronte: può essere bevuto giovane, oppure può restare in cantina per anni. Le Doc, istituite alla fine degli anni Sessanta, sono due, Verdicchio dei Castelli di Jesi DOP e Verdicchio di Matelica DOP. Radici antiche. Bisogna attendere l’Ottocento perché la produzione diventi di buona qualità. Negli anni ‘5o del Novecento inizia il periodo fortunato. La bottiglia ad anfora disegnata da Antonio Maiocchi per Fazi Battaglia si impone sul mercato. Peccato che qualche azienda, fiutando l’affare, mise in vendita ettolitri di bianco di scarsa qualità.
Ma negli ultimi vent’anni, come racconta il libro migliore su questo vitigno, Il Verdicchio tra lesi e Matelica, di Francesco Annibali (Aliberti editore), le colline del Verdicchio hanno conosciuto una incessante crescita qualitativa, merito del lavoro di piccoli coltivatori e grandi cooperative: «da vino semplice, ostacolato da un nome che è un diminutivo, a uno dei maggiori vini bianchi d’Italia».
Lo si produce nelle province di Ancona (Doc e Docg Jesi) e Macerata (Doc e Docg Matelica). In tutte le versioni, fermo, spumante e passito. Le differenze: il primo più morbido e sapido, il secondo più muscoloso, a volte rustico. Come il vino, anche le aziende del Verdicchio sono diverse tra loro. Accanto ad Ampelio Bucci, l’alfiere della qualità con il suo Villa Bucci Riserva, c’è ancora Fazi Battaglia, riportata in pista dalla famiglia Angelini. E poco distante donne combattive come Donatella Sartarelli dell’azienda omonima. O vignaioli fuori dagli schemi, come Corrado Dottori, della Distesa: per lui il Verdicchio è «un atto creativo». Per un bianco di gran classe che stupisce con la sua longevità.
Fonte: Corriere della Sera