La capacità del vino di rappresentare la tipicità d’un territorio richiede una gestione sostenibile della vigna. È quanto emerge da una ricerca congiunta dell’Università di Firenze e della Fondazione Edmund Mach, cui hanno collaborato l’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona e l’Institut Pasteur di Montevideo. Ricerca che dimostra come la distintività di un vino dipenda non soltanto dai lieviti presenti in cantina, ma anche da quelli depositati sugli acini d’uva dagli insetti. Lieviti alla cui conservazione e al cui vigore danno un contributo insostituibile vespe e calabroni.
“Proprio l’intestino di quest’insetti”, spiega a Duccio Cavalieri, docente di microbiologia presso l’università di Firenze, “è il luogo in cui i lieviti s’incrociano. E spesso l’incrocio avviene fra cellule di lieviti di specie diverse, quali saccharomyces cervisiae e saccharomyces paradoxus, originando ibridi migliori sia per la resistenza agli stress del processo di fermentazione sia per la produzione d’aromi, rispetto a quella dei rispettivi genitori”. Proteggere la biodiversità di vespe e calabroni, in altri termini, equivale a preservare il reservoir naturale ove i lieviti d’un determinato areale vivono e hanno vissuto per milioni d’anni, ben prima di quando l’uomo ha cominciato a produrre vino. Si traduce quindi in un atout per i nostri vitivinicultori. “I territori in cui non s’è mai vinificato e dove oggi si sta progettando d’avviare la viticoltura mancano verosimilmente del patrimonio di microrganismi che invece le nostre terre hanno e hanno ereditato da migliaia d’anni di cultura del vino e della vite”. Un patrimonio di lieviti italiani, che il docente intende mappare tramite il progetto Montecristo che necessita di finanziamenti per decollare.
Fonte: Italia Oggi