In crescita il fenomeno dei biodistretti: 19 sono nati solo nell’ultimo biennio. Attivi in 646 comuni, coinvolgono pubblico, privato e l’intera popolazione. Dalla Val di Vara al Cilento e ora le Murge: sostegno decisivo per gli agricoltori. Attesa per l’approvazione della legge nazionale (e per i contributi).
Tra il 2019 e il 2020 in Italia sono nati diciannove distretti biologici. Per diciannove volte, in ventiquattro mesi, agricoltori, amministrazioni pubbliche, produttori, operatori turistici e associazioni si sono uniti con l’obiettivo di promuovere l’agricoltura biologica sul proprio territorio. «Negli ultimi anni – ha scritto in un recente rapporto l’ente di ricerca governativo Crea – l’approccio condiviso allo sviluppo locale proprio del distretto biologico si è notevolmente diffuso». È una crescita netta che potrebbe continuare e, anzi, accelerare ulteriormente perché, sostiene Alberto Sturla del Crea, «i biodistretti sono laboratori di sostenibilità ambientale, sociale ed economica». Di questi laboratori se ne contano più di 5o in tutto il Paese. La regione che ne ospita il maggior numero è la Toscana, seguono Veneto e Sicilia con cinque e altre quattro regioni con quattro.
Non tutti i biodistretti sono attivi allo stesso modo e, soprattutto i più recenti, svolgono attività ancora limitate. Complessivamente, però, si tratta dr un fenomeno che coinvolge 646 comuni e copre una superficie di oltre 34mila chilometri quadrati, pari all’un per cento di tutto il suolo nazionale. «I biodistretti – spiega Alessandro Triantafyllidis, dell’Associazione italiana agricoltura biologica AIAB – rendono protagonista non solo il biologico, ma l’intera comunità locale». Lo fanno promuovendo sinergie tra pubblico e privato, coinvolgendo i cittadini e integrando la filiera agricola con quelle di artigianato e turismo. Concretamente, le possibilità operative sono tante: sostegno con le certificazioni e formazione per gli agricoltori, collaborazioni con gruppi di acquisto solidale, menu bio tiene mense scolastiche e una maggiore capacità di ottenere contributi economici.
Triantafyllidis lo sa bene perché è anche il presidente del biodistretto ligure della Val di Vara, tra i primi a nascere in Italia insieme a quelli del Cilento, del Grecanico e del Chianti, ad inizio anni Duemila. «All’epoca non c’erano finanziamenti. Prima è nata l’idea, poi son arrivati alcuni fondi», ricorda. Il biodistretto della Val di Vara è stato riconosciuto da una legge regionale della Liguria nel 2017 e, così, negli anni successivi ha potuto beneficiare dei contributi del Programma di sviluppo rurale sostenuto dalla Politica agricola comune dell’Ue. È un passaggio importante, una strada che diverse realtà più giovani sperano di seguire. Sei mesi fa, per esempio, è nato il primo biodistretto della Sardegna che, con oltre cento soci, ha da poco ottenuto il riconoscimento ufficiale della Regione. Anche in Puglia c’è movimento. Da mesi, diverse associazioni stanno lavorando per costituire il Biodistretto sociale delle Murge, in provincia di Bari, e i comuni interessati potrebbero far nascere l`associazione già a settembre, dopo qualche rallentamento dovuto alla pandemia.
«Stiamo sviluppando una sinergia tra agricoltura biologica e sociale, che in Puglia è ormai diffusa da anni», spiega Paola Maciariello di BioAs Puglia, una delle realtà promotrici: «È una sfida, ma questi due filoni, per la nostra esperienza, sono perfettamente compatibili e intersecabili». In un territorio segnato da diversi problemi, tra cui quello del caporalato, il biodistretto avrà una forte presenza di associazioni del Terzo settore che si occupano migranti, minori, anziani e persone diversamente abili. Quella pugliese è un’esperienza che guarda a quella di Bergamo, dove il biodistretto coinvolge già da anni una decina di istituzioni locali e una dozzina di cooperative sociali, molto attive anche durante il lockdown. Proprio la pandemia, al netto delle difficoltà che ha creato, potrebbe rivelarsi uno dei motivi dell’ulteriore crescita dei biodistretti.
«Rispetto a prima riprende Triantafyllidis – c’è una maggiore attenzione per il territorio e il cibo di qualità. Speriamo duri». A farla proseguire potrebbero contribuire alcuni sviluppi normativi, europei e nazionali. Il primo è il nuovo Regolamento Ue sul biologico che, da gennaio 2022, entrerà in vigore anche nel nostro Paese e che prevede la possibilità di certificazioni di gruppo. Considerato che per molte aziende la certificazione bio è un ostacolo a causa dei costi e della burocrazia, i biodistretti potrebbero creare positive economie di scala e contribuire a un’ulteriore crescita del settore. L’Italia, infatti, con il suo 15 per cento abbondante di superficie agricola coltivata bio è uno dei primi stati in Europa, ma negli ultimi anni la crescita ha rallentato. Anche per questo, c`è molta attesa per l`approvazione della legge nazionale sul biologico. Il testo, che è passato alla Camera ma non ancora al Senato, dovrebbe stabilire in maniera più precisa i criteri per definire i biodistretti e, anche se molto dipenderà dai decreti attuativi, dovrebbe quindi consentire a un maggior numero di realtà di accedere ai fondi regionali, nazionali ed europei. Sturla è ottimista. «L`interesse del decisore pubblico c’è», dice. «Vedremo – conclude – come si concretizzerà e come i territori sapranno rispondere, ma i biodistretti, soprattutto per molte aree marginali, rappresentano degli strumenti di sviluppo e sostenibilità straordinari. Sono il futuro».
Fonte: Corriere della Sera