Intervista ai ricercatori Marescotti e Belletti sulle tendenze in atto relative alle modifiche dei disciplinari di produzione del comparto ortofrutta DOP IGP europeo.
La questione ambientale sarà sempre più rilevante per il settore delle DOP IGP. Partendo da questo presupposto Consortium propone l’intervista ad alcuni degli autori della ricerca “Le Indicazioni Geografiche protette si stanno evolvendo a causa di motivazioni legate all’ambiente? Un’analisi delle modifiche ai disciplinari di produzione nel settore ortofrutticolo nell’Unione europea”. Attraverso l’intervista al professor Marescotti ed al professor Belletti, andiamo ad affrontare quanto le 81 modifiche dei disciplinari dei 379 prodotti dell’ortofrutta Europea siano state influenzate da giustificazioni di tipo ambientale. L’analisi delle modifiche non minori condotta dai ricercatori ha mostrato varie situazioni non riuscendo ad individuare dei trend chiari e netti, a parte la generale tendenza verso un allentamento delle restrizioni dovuto alla necessità di far fronte al cambiamento climatico. Nonostante ciò lo studio ha identificato alcuni “poli” opposti che hanno permesso di classificare le modifiche.
Professor Marescotti, quali sono stati i presupposti da cui siete partiti?
Abbiamo iniziato a studiare le Indicazioni Geografiche protette molti anni fa, e abbiamo potuto osservare da vicino le tendenze in atto nel sistema, così come i più generali cambiamenti sui mercati agroalimentari e nelle tendenze dei consumatori e della società. Il dibattito sull’opportunità o necessità di rendere più “verdi” anche le produzioni DOP e IGP può essere fatto risalire già al Green Paper sulla Politica di Qualità dell’UE del 2008. La riproposizione del tema nella recente consultazione pubblica sulla politica della qualità UE è il frutto dell’accresciuta sensibilità ambientale, nonché delle ricordate nuove strategie dell’Unione Europea in materia di ambiente, evidenti in modo particolare nel Green Deal e nella strategia Farm to Fork. Nonostante questo, il sistema produttivo ha sollevato molte perplessità circa l’obbligatorietà dell’introduzione di norme “ambientali” nei disciplinari, e la recente proposta di nuovo regolamento lo ha infatti previsto solo come opportunità e non come obbligo. Siamo partiti dunque da questi presupposti per capire se il sistema delle DOP IGP avesse in qualche modo recepito queste esigenze e tendenze, e in che direzione si stesse muovendo.
Perché è stato scelto il settore ortofrutta?
Quello dell’ortofrutta è stato scelto come settore in un certo senso “guida”, perché i prodotti DOP IGP ortofrutticoli hanno un legame molto più stretto con il comparto agricolo, meno “mediato” cioè da operazioni di trasformazione. Inoltre è un settore caratterizzato da una domanda finale spesso più sensibile alle tematiche ambientali e alla salubrità delle produzioni. Infine è uno dei comparti dove più ampio è stato il numero delle modifiche ai disciplinari, e questo ha consentito di avere più casi da analizzare e una maggiore rappresentatività delle varie motivazioni che hanno portato alla modifica dei disciplinari. In ogni modo è in corso anche l’analisi di un secondo settore, quello dei formaggi, dove le problematiche sono per molti versi più complesse poiché riguardano l’interazione tra animale, sistemi di allevamento, territorio, oltre che le pratiche di trasformazione.
Dalla vostra analisi si sottolinea che la maggior parte delle modifiche ai disciplinari siano giustificate dal “mercato” mentre le giustificazioni “ambientali” risultano meno numerose.
Intanto una premessa: la protezione delle Indicazioni Geografiche è nata e si è consolidata come strumento innanzitutto di tutela e valorizzazione di mercato, non come strumento (anche) di tutela ambientale. Questo emerge chiaramente anche dai considerando del regolamento stesso. Tra l’altro la previsione all’interno dei disciplinari di norme finalizzate solo ed esclusivamente alla tutela dell’ambiente (senza che cioè fossero giustificate dal legame al territorio o dal collegamento con gli attributi qualitativi del prodotto) non era – fino alla recente proposta di regolamento – possibile. Nel nostro lavoro abbiamo cercato di capire se le modifiche dei disciplinari potessero mostrare “anche” una sensibilità verso la tutela dell’ambiente, ma in realtà molte modifiche in qualche modo connesse all’ambiente in senso lato sono piuttosto adattamenti resisi necessari per far fronte al cambiamento climatico (introduzione di nuove varietà, estensione del periodo di semina o di raccolta, ecc.), mentre poche sono state le modifiche finalizzate tout court a promuovere pratiche agricole più sostenibili ambientalmente. Tutto questo ha portato nella maggior parte dei casi a disciplinari più “flessibili”, a maglie più larghe.
Ci può spiegare il ruolo delle due filosofie emergenti?
L’analisi delle modifiche ai disciplinari ha mostrato una varietà di situazioni, in termini di direzione del cambiamento (disciplinare restrittivo vs permissivo), di oggetto del cambiamento (processo produttivo, fattori di produzione, caratteristiche qualitative del prodotto finale, ecc.), di intensità della modifica. Pertanto è complesso individuare dei trend chiari e netti, a parte la generale tendenza verso un allentamento delle restrizioni dovuto in particolare alla necessità di far fronte al cambiamento climatico. In ogni modo è possibile individuare alcuni “poli” opposti che permettono di classificare le modifiche. Guardando all’insieme delle modifiche, sembrano emergere due filosofie: la prima porta a concentrare l’attenzione sulle caratteristiche qualitative del prodotto finale ed è dunque più orientata ad aspetti “materiali” e più facilmente percepibili e comunicabili al consumatore, mentre la seconda è più attenta alle caratteristiche del processo produttivo, comprese le varietà locali e le tecniche tradizionali. Rispetto alle modifiche a contenuto per così dire ambientale, invece, abbiamo distinto tra modifiche “reattive”, giustificate cioè dalla necessità di adattare le regole al cambiamento climatico e in generale cambiamenti del contesto esterno, e modifiche “proattive”, dove invece emerge una maggiore volontà di fare un passo avanti per tener conto dell’impatto dei processi produttivi sull’ambiente, sul paesaggio e sull’agrobiodiversità. Queste ultime comunque sembrano caute nell’imporre regole, e piuttosto cercano di aprire nuove possibilità ai produttori prevedendo anche l’adozione di pratiche che possono ridurre l’impatto sull’ambiente.
Non credete che nel lungo periodo saranno le dinamiche ambientali a modificare le esigenze di mercato?
Certamente la sensibilità ambientale sta crescendo in tutti i Paesi, e anche le politiche, come detto, stanno spingendo in questa direzione. Anche grazie alla nuova possibilità offerta dalla recente proposta di regolamento (art.14) di introdurre esplicitamente nei disciplinari norme a carattere ambientale (e sociale), credo anch’io che non solo nel lungo periodo molti disciplinari dovranno prevedere modifiche per introdurre norme di questo tipo per poter competere sul mercato con ancor più efficacia. Il tema qui potrà essere quello della maggior difficoltà di utilizzo delle DOP e IGP da parte delle imprese: già assistiamo in alcuni casi a situazione di sottoutilizzo della DOP e IGP rispetto al potenziale. I motivi possono essere molti, tra cui i costi di conformità. L’introduzione di un’ulteriore area di regole relativamente alla sostenibilità ambientale e sociale potrebbe rendere più difficile l’accesso delle imprese a questo strumento, ma nel contempo favorire anche un processo virtuoso di crescita delle imprese se ben supportate. E soprattutto permettere alle imprese produttrici di qualificare e differenziare ulteriormente il proprio prodotto agli occhi dei consumatori. A questo proposito i Consorzi di tutela, il cui ruolo esce rafforzato dalla proposta di regolamento, dovranno svolgere un ruolo importantissimo nel guidare questo processo e nel comunicarlo ai consumatori, finali ed intermedi.
In che misura il disciplinare di produzione è uno strumento idoneo all’evoluzione delle IG verso una maggiore sostenibilità?
Il disciplinare è il documento di riferimento per i produttori e contiene le regole base per caratterizzare il prodotto. Pertanto l’adattamento delle IG, se vuole essere a livello di sistema, deve passare da lì. La modifica del disciplinare è un percorso a oggi abbastanza complesso, e le imprese devono comunque fare attenzione a non inserire nel disciplinare regole fini a sé stesse ma che potrebbero aumentare i loro costi di produzione. Inoltre, si deve tener conto che le regole del disciplinare devono essere oggetto di controllo da parte degli Organismi di certificazione, e più regole da controllare può significare maggiori costi da sostenere. Una evoluzione del disciplinare verso la sostenibilità ambientale deve dunque essere parte di una strategia più ampia, che faciliti le imprese all’introduzione di nuove pratiche e che tenga conto anche della comunicazione sul mercato, perché ciò che si migliora diventi evidente ai consumatori. In questo senso il ruolo dei Consorzi di tutela è appunto di importanza fondamentale. Non necessariamente l’aumento della sostenibilità deve passare comunque da modifiche del disciplinare. I Consorzi di tutela possono anche promuovere la definizione di buone pratiche che le imprese possono applicare su base volontaria. È una pista che in alcuni casi può essere interessante, facendo attenzione a che non si vengano creare imprese di serie A e di serie B.
Quale è, in questo contesto, il ruolo della ricerca?
Lo sforzo delle imprese e dei Consorzi di tutela spesso non è sufficiente. Occorre uno sforzo di sistema per rendere le IG (e non solo le IG) più sostenibili. In questo senso è importante la ricerca per avere cognizione delle relazioni tra pratiche produttive ed impatti ambientali e dunque perché gli stessi attori comprendano quali sono le pratiche più sostenibili che possono essere implementate nei disciplinari. È dunque opportuno, anche in virtù delle specificità e diversità delle produzioni, promuovere studi più approfonditi sia sul reale impatto delle produzioni DOP IGP sulla sostenibilità, sia su quale sia il miglior modo di sostenere e incentivare le produzioni DOP IGP in direzione di un miglioramento della sostenibilità. Inoltre la formazione e l’assistenza tecnica alle imprese, per rendere possibile l’utilizzo delle buone pratiche, e laddove possibile adeguati sistemi di compensazione. Infine, è necessario un supporto alle attività collettive di comunicazione di cui dicevamo sopra. È evidente che il ruolo dell’operatore pubblico ai vari livelli è molto importante; tra questi, la possibilità di utilizzare gli strumenti previsti dalla PAC.
A cura della Redazione
Fonte: Consortium 2022_02