Scontro sul nome Bolgarè: per la DOP del Bolgheri va vietato perché è evocativo
Un vino bulgaro minaccia il Sassicaia e tutta la DOP del Bolgheri. È un mix di Syrah e Merlot, è prodotto da una delle più grandi cantine della Bulgaria e si chiama “Bolgarè“: un nome simile, troppo simile a quello della DOP toscana. Rispetto al Sassicaia, sul mercato lo si vende a un decimo del prezzo. Ma la sua assonanza con la DOP di cui fa parte il Supertuscan può facilmente ingannare i consumatori internazionali. Così, all’Italia non resta che dare battaglia legale ai rivali della Tracia.
«Ci risiamo: come già successo per altri prodotti alimentari a denominazione di origine e indicazione geografica protetta, questa volta sono i vini Bolgheri DOP e Bolgheri Sassicaia DOP a subire l’usurpazione commerciale di un marchio bulgaro chiaramente evocativo, ma che nulla ha a che fare con le nostre eccellenze vitivinicole, riconosciute e tutelate a livello europeo», scrivono gli europarlamentari del Pd Simona Bonafè e Paolo De Castro in un’interrogazione prioritaria presentata ieri alla Commissione Ue, alla quale chiedono di intervenire per far cessare l’uso del marchio Bolgarè.
I due europarlamentari si appellano al regolamento UE sulla qualità 1308/2013, introdotto nella scorsa legislazione: «Questo regolamento – spiega l’ex ministro italiano dell’Agricoltura, Paolo De Castro – introduce per la prima volta il principio dell’evocazione. Per poter essere utilizzato in Europa, cioè, un determinato marchio non solo non deve essere uguale a un altro, ma non deve nemmeno essere simile».
L’interrogazione italiana si è resa necessaria perché l’Euipo, cioè l’Ufficio europeo per la proprietà intellettuale, non ha accettato il ricorso presentato dal Consorzio per la tutela dei vini Bolgheri DOC contro il marchio bulgaro.
Il Bolgarè risulta così regolarmente registrato dal maggio 2017 e l’annata 2018 è già in commercio. La cantina che lo produce, Domaine Boyar, è stata la prima azienda vinicola privata a nascere dopo la caduta del regime comunista in Bulgaria, nel 1989. Oggi la società, che ha una sede in Bulgaria e una a Londra, è tra i principali esportatori nazionali di vino: le sue bottiglie prendono in particolare la via del Regno Unito, degli Stati Uniti, del Canada, dell`Asia e dei Paesi scandinavi. Tutti mercati fondamentali per l’export dei produttori italiani, e per i Supertuscans in particolare.
«Il sistema di protezione europeo delle denominazioni generalmente funziona – spiega De Castro – ogni tanto però si registra qualche caso di violazione, che spesso vede come parte lesa proprio i prodotti made in Italy». È successo recentemente con l’Aceto Balsamico di Modena IGP, il cui appellativo “balsamico” era stato utilizzato da un produttore tedesco, così come è successo al pecorino romano in Romania o al prosecco in Inghilterra.
«Noi non ci appelliamo all’ufficio brevetti – prosegue De Castro – ma alla Commissione europea, che è l’organo deputato a vigilare sulla corretta applicazione dei regolamenti. E in causa chiamiamo proprio il principio di evocazione. Da quando il regolamento sulla qualità è entrato in vigore, sono migliaia i casi su cui si è potuto intervenire. In tanti di questi è stato direttamente il ministero dell’Agricoltura del Paese attaccato a rivolgersi alla Commissione. Per una singola azienda, è più complicato attivare il meccanismo». Per questo, nel caso del la DOP del Bolgheri, l’iniziativa è partita dall’Europarlamento. «Per fortuna nel mercato unico europeo abbiamo norme severe con cui proteggerci – ricorda infine De Castro – il problema è quando queste evocazioni dei marchi made in Italy avvengono al dí fuori della UE, dove non è possibile agire in punta di diritto. In questi casi, possiamo solo giocare la carta delle norme ad hoc da inserire negli accordi di libero scambio».
Fonte: Il Sole 24 Ore