Tema cruciale, il riscaldamento globale, anche nella creazione di vini. Se n’è discusso al Festival Trento DOP di settembre. L’altitudine per le viti può non funzionare, si lavori come sistema con tutte le risorse: sensori, formazione, genetica.
I cambiamenti climatici influiscono inevitabilmente sulla produzione vinicola, si tratta di uno degli argomenti più dibattuti e studiati degli ultimi anni. Solo che le risposte paiono spesso univoche e a tratti rischiano di banalizzare un argomento molto complesso. Come per esempio accade proponendo, come risposta-soluzione, l’altitudine. Dati e situazioni alla mano dimostrano che non sia così risolutiva.
Le simulazioni degli effetti dei cambiamenti climatici sulla fenologia della vite, dagli studi pubblicati sulla autorevole rivista Agricultural and Forest Meteorology, indicano che in futuro avremo stagioni di crescita più brevi: inizio anticipato e durata più corta delle varie fasi fenologiche. L’impatto del cambiamento climatico però varierà a seconda della regione studiata e del suo microclima.
Il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU, l’IPCC, mette in evidenza la portata degli impatti del clima e prevede un loro aggravarsi già entro il 2040.
Questi fenomeni non solo influenzano direttamente la fisiologia della vite, la composizione dell’uva e, in ultima analisi, la qualità del vino ma modificano anche la tipicità dei vini e le caratteristiche delle attuali aree di produzione. Tra i territori europei più a rischio si individua l’area mediterranea: Italia e Spagna sono tra i Paesi più monitorati.
E intanto si lavora, per fare alcuni esempi, su colture di copertura per stabilizzare i suoli e nuovi sistemi di irrigazione, aumentare la biodiversità dei vitigni in modo da ridurre al minimo le perdite determinate da un innalzamento delle temperature, vitigni resistenti, sistema di allevamento, portainnesti tolleranti della siccità.
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“Quello che è fondamentale è lavorare di sistema e coesione utilizzando tutte le risorse in campo: la tecnologia (anche intelligenza artificiale), l’investimento in formazione e l’uomo che resta centrale come guida in tutto il processo. L’approccio artigianale garantisce un presidio costante della qualità del prodotto ma comporta un notevole impegno in termini di ore lavorative e risorse” ha spiegato Stefano Fambri, Presidente dell’Istituto Trento DOC al Trento DOP Festival organizzato lo scorso settembre in partnership con il Corriere.
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Fonte: Pianeta 2030 – Corriere della Sera