Il Giorno
Giovanni Zucchi, 42 anni, amministratore delegato dell’Oleificio Zucchi di Cremona, da pochi mesi è presidente di Assitol, l’Associazione italiana dell’industria olearia, che riunisce 90 imprenditori del settore.
Che sfide attendono il comparto?
«L’Italia è a rischio nella leadership mondiale delle esportazioni. C’è bisogno di investimenti e di rinnovamento culturale. Penso che ci siano le condizioni per ragionare su come reagire a un sistema Spagna che negli ultimi dieci anni è passato da una situazione subordinata a noi a una di competizione e rischio di sorpasso».
Che s tegia proponete?
«Ci sono due punti da tenere in considerazione. Il primo è che non è mai accaduto che avanzasse prodotto italiano da un raccolto all’altro. La produzione italiana copre fra il 30% e il 40% del fabbisogno nazionale complessivo».
Questa è la rima premessa. seconda?
«Gli italiani sono cresciuti come grandi costruttori di cuvée. La capacità storica di selezionare le olive ha creato una capacità di fare blend (miscela, ndr).
Non mi interessa che questo prodotto sia definito made in Italy perché la provenienza dell’oliva non è italiana ma mi piacerebbe che si ricono- La quota di fabbisogno nazionale di olio coperta dalla produzione domestica scesse, come per la cucina, la capacità italiana di capire il gusto del consumatore e di costruire il prodotto che desidera. Quindi il regolamento che chiede di mettere l’origine in etichetta è un passo fondamentale, ma è altrettanto fondamentale che si riesca a rac contare il prodotto in etichetta».
Oggi è proibito?
«Noi al momento possiamo scrivere solo che il prodotto è dolce, è equilibrato, è fruttato. Mentre il vino ha costruito una segmentazione di mercato ».
Che differenza c’è tra un produttore italiano che miscela di olive per l’olio e uno spagnolo?
«Gli spagnoli non sono capaci. L’arte di creare un blend è artigianale, non replicabile chimicamente ».
Sull’oliola Spagna ci sorpassa. Per il rilancio impariamo dal vino