Internazionale
Partite di carne che viaggiano per mezzo mondo. Società registrate in paradisi fiscali. Mediatori e grossisti troppo disinvolti. Lo scandalo del cavallo spacciato per manzo ha fatto luce sui metodi di un’industria ricchissima e ancora poco trasparente o scandalo della carne equina spacciata per bovina e presente in alcuni piatti pronti continua ad allargarsi. E mette in imbarazzo diverse industrie del settore agroalimentare. Inchiesta dopo inchiesta, rivelazione dopo rivelazione – l’ultima riguarda la carne in scatola prodotta dall’azienda francese Covi – questa frode alimentare sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. In primo luogo per le sue dimensioni geografiche: dalla Svezia al Portogallo, dal Regno Unito all’Austria, sono coinvolti quasi tutti i paesi europei, con ricadute che arrivano in Russia e rimbalzano in Asia. In secondo luogo perl a lista dei prodotti alimentari incriminati: dalle lasagne alle polpette, passando per i ravioli e il chili con carne, si tratta di prodotti freschi, congelati o in scatola, venduti da marchi poco noti, ma anche da grandi aziende come Findus e Nestlé. C’è poi un terzo aspetto: le tappe del viaggio attraverso cui la carne di cavallo si trasforma, nel corso di vari passaggi ed etichettature, in manzo. Anche se è ancora troppo presto per attribuire responsabilità o colpe precise, questo scandalo ha fatto luce sui meccanismi poco trasparenti che regolano il commercio della carne. I mattatoi, infatti, ormai non vendono più le bestie intere ma i singoli tagli già sezionati: l’obiettivo è guadagnare il massimo da ogni parte dell’animale. È in questo modo che si produce il cosiddetto “minerale”, una massa ricomposta di scarti e di tessuti grassi che pesa tra i io e i 25 chili e viene usata per preparare i piatti industriali preconfezionati. Sotto la pressione della grande distribuzione, l’industria alimentare ha l’imperativo di ridurre le spese, anche a costo di moltiplicare i subappalti per l’assemblaggio dei prodotti e di ricorrere a dei mediatori per comprare le materie prime al prezzo migliore. E sempre con il rischio di abusi. In questa attività, che non conosce frontiere, i trader olandesi hanno saputo imporsi su scala europea. “Ovunque ci sia un’attività commerciale, troverete almeno un olandese”, spiega Dé van de Riet, portavoce dell’Organizzazione centrale dell’industria olandese della carne (Cov). Anche se non esiste un registro ufficiale, secondo Van de Riet, i mediatori della carne, grandi e piccoli, sono “diverse centinaia”. Tra di loro ci sono aziende piccole e medie, come la Nice to Meat International, un’impresa familiare con cinque dipendenti e sede allaperiferia di Amsterdam. Il suo proprietario, Patrick Pouw, spiega come lavorano i trader, chepassano la giornata al telefono e su internet: “Compriamo carne di qualità superiore negli Stati Uniti e in Australia, l’importiamo nei Paesi Bassi, laconserviamo in celle frigorifere che affittiamo in diversi posti del paese, e poi la rivendiamo in tutta Europa. Di solito, quando compriamo un lotto di carne, non sappiano ancora a chi lo rivenderemo”.
20130323_Internazionale.pdf