Con la crisi si salva solo la qualita’ e i ristoranti al top. Enzo Vizzani: «Il futuro è marketing»
L’ondata iberica, con le sue esasperazioni chimico-fisico-molecolari, è passata. Soffia ora il vento del Nord: erbe, muschi, licheni, carni e pesci raw, crudi. Chissà se durerà. Si profila all’orizzonte la moda prossima ventura dei sudamericani: brasiliani, peruviani, cileni già hanno calcato le pedane di qualche congresso – racconta Enzo Vizzari, un passato da industriale e un presente tra gli uomini più influenti nel mondo della critica gastronomica, da alcuni anni direttore delle Guide dell’Espresso, un guru nell’ambiente. Intanto il sushi, più orecchiato che vero, non lo scalza più nessuno, è entrato nel novero dei piatti nazionali, come il tortino di cioccolato dal cuore tenero. Che sia arrivata finalmente, l’ora della cucina italiana? A guardare le cifre dell’ultimo rapporto sulle economie territoriali della Confcommercio di qualche settimana fa, che aveva evidenziato la chiusura di circa 9000 ristoranti solo nel 2011, in un comparto composto di oltre 130mila attività dove si serve cibo, fra ristoranti, pizzerie, trattorie, osterie e fast food, potremmo rispondere di no. Ed anche il racconto diretto di chi ha valutato circa 2700 locali e 2200 aziende vitivinicole per 25000 etichette conferma alcuni elementi di criticità del sistema enogastronomico domestico. «Purtroppo solo negli ultimi due anni ho potuto constatare la chiusura di tanti ristoranti segnalati nella mia guida, come complessivamente ne avevo rilevate nei dieci anni precedenti – continua Vizzari – . Nel panorama ristorazione 2012 non c’è nessuna novità folgorante, ho notato invece tentativi di assestamento o di ridimensionamento dolorosi». Qual è la sensazione di chi direttamente incontra tanti protagonisti della ristorazione italiana? È un discorso delicato, chi sta pagando lo scotto più alto è chi ha creduto che per farcela bastasse saper cucinare, senza essere anche imprenditori. Sembra impossibile doverlo sottolineare nel 2012, ma molti scordano che prima di tutto gestiscono aziende e tanti sono i casi in cui il successo è inversamente proporzionale al conto in banca. Poca o scarsa imprenditorialità caratterizzano il settore. Ovviamente questo non succede ai vertici delle classifiche, dove arrivi solo se sei un grande chef e un buon manager. Quindi secondo te i ristoranti al top, quelli stellati, sono quelli che corrono meno rischi? Stanno soffrendo anche i vertici, perché la gente spende meno, il conto medio si contrae, ma si salvano se sanno essere ragionevolmente flessibili nell’offerta, riducendo il numero di piatti in carta, senza toccare la qualità e ridimensionando le carte dei vini. La ristorazione è l’anello che unisce la filiera agroalimentare a quella del turismo, purtroppo a livello politico e istituzionale c’è pochissima attenzione a tutto questo. Nella moda c’è un sistema imprenditoriale e nella ristorazione non è mai stato creato. «È vero, ma qualcosa sta cominciando a cambiare continua Vizzari – rispetto al passato gli chef si parlano, si incontrano. C’è una sorta di network, ma non siamo ancora a un sistema che può dare risultati imprenditoriali importanti». In un mondo invaso dalla cucina italiana, che non è quella di qualità, dilaga in maniera vertiginosa l’Italian sounding anche nel settore ristorazione. Lo dico da anni, quello della ristorazione è un settore da seguire con attenzione, le parole d’ordine devono essere qualità, identità e marketing. Lavorando su questo si potrà salvare il Made in Italy, altrimenti sarà una partita persa. Sono tre parole chiave che valgono anche per il settore dei vini. Nel mondo tanti stanno imparando a fare buon vino, ottenendo prodotti impeccabili, ma privi d identità. I territori non possono essere copiati. A proposito di vino, che ne pensi del biologico? «Il biologico è un settore in crescita, come nell’agroalimentare, ma respingo con forza l’equazione biologico uguale qualità, eventualmente maggiore salubrità. È una moda del momento, ho assaggiato prodotti perfidi, seppur biologici o biodinamici, ma anche prodotti ottimi. Vorrei solo che non si confondesse la parola biologico con qualità».