A lasciare negli orti emiliano romagnoli lo scalogno (più saporito di una cipolla, ma meno piccante di un aglio) furono i Celti che nel 350 a.C. occupavano questo territorio e che lo avevano ereditato dai migranti palestinesi provenienti da Acalon. Fino al 1992 nessuno gli prestò particolare attenzione , ma da allora la pro loco di Riolo Terme gli dedica una sagra che si tiene a luglio. Nel 1997 lo scalogno di Romagna ottenne la certificazione Igp. Oggi la richiesta è dieci volte superiore alla produzione. Entra sempre più nelle ricette dei ristoranti, è apprezzato all’estero e nella versione gourmet di `Nero Fermento ‘ è un must. L’AREALE dell’Igp comprende Brisighella, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Faenza, Riolo Terme e Solarolo in provincia di Ravenna, Modigliana e Tredozio in provincia di Forlì, Borgo Tossignano, Casalfiumanese, Castel del Rio, Castel Guelfo di Bologna, Dozza, Fontanelice, Imola e Mordano in provincia di Bologna.
«Quest’anno, sommando tutti i soci, dovremmo arrivare a due ettari coltivati con una produzione stimata di 150 quintali se l’annata sarà favorevole, ma già l’anno prossimo avremo bulbilli per duplicare la superficie» spiega Glenda Vignoli, presidente del Consorzio dello Scalogno di Romagna costituito a Riolo Terme a giugno 2018 grazie a 15 soci. Il primo obiettivo è «aumentare la superficie coltivata e di conseguenza la produzione. La richiesta del nostro scalogno è in forte aumento e attualmente riusciamo a soddisfarla solo in parte». Lo richiedono aziende, ristoranti, negozi di prodotti tipici (anche del sud) e consumatori finali.
Fonte: Il Resto del Carlino