Stop al low cost e all’imbottigliamento fuori zona. Nelle Langhe si studia il futuro del simbolo del Piemonte.
Il “re dei vini” regna sulla tavole di mezzo mondo ma non governa più a casa propria. Barolo venduto a 10 euro in Autogrill; Barolo low cost imbottigliato in Svizzera (e si dice anche in Norvegia) che finisce sugli scaffali della GDO all’estero; produttori fuori zona per pochi passi che stampano etichette senza nome in polemica con la burocrazia; liti sul riconoscimento e il valore dei vari cru; acquisizioni (mal digerite) di storiche cantine da parte di multinazionali.
Il vaso di pandora del vino simbolo del Piemonte e del made in Italy, una filiera da 450 milioni di euro per un fazzoletto di terre ondulate che si stende per 353 ettari, si sta per riaprire. È presto per parlare di una nuova guerra del Barolo, come quella che negli anni Ottanta, contrappose i tradizionalisti ai modernisti, tra tempi di vinificazione e invecchiamento alla francese, in barrique. Ma di sicuro gli equilibri tra i 350 produttori stanno per cambiare.
Il prossimo anno Matteo Ascheri, il combattivo e anche divisivo presidente del consorzio del Barolo lascerà la carica che ha occupato per sei anni. In pole position per sostituirlo c’è Federico Scarzello, classe 1980, già presidente dell’Enoteca regionale del Barolo, e assessore del comune di Barolo, un profilo più “politico” e più vicino agli ingranaggi della burocrazia, rispetto a quello di Ascheri.
In ballo c’è il nuovo disciplinare del Barolo, la carta costituzionale del re dei vini, che regola ciò che si deve fare (38 mesi di invecchiamento in botte, la resa per ettaro, i comuni dove si può produrre) e cosa non si deve fare (altitudine non inferiore a 170 metri e non superiore a 540 metri, vietata la qualificazione diversa in etichetta).
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Fonte: L’Economia Nordovest