In Liguria è tempo di olio nuovo: la settimana prossima inizieranno ad aprire i primi frantoi. Non sarà però una grande annata, le premesse non sono confortanti soprattutto per quanto riguarda la quantità.
Una campagna olearia di transizione, quasi sperimentale, che fa i conti con scenari inediti, siccità, livelli elevati di umidità, nuovi nemici e armi spuntate per la difesa degli oliveti. Il 50% in meno di produzione rispetto allo scorso anno – confronto impietoso perché quella del 20/21 è stata una campagna olearia ottima – con punte del 70 e persino 80 per cento in alcune zone del Ponente. «Non è più una questione legata all’annata storta ma siamo di fronte alla peggiore stagione olivicola degli ultimi vent’anni». È la voce di Stefano Roggerone, presidente della Cia di Imperia, assaggiatore e produttore olivicolo, che si fa portavoce di un sentimento comune alle aziende piccole e grandi del territorio della taggiasca. «Si va ben oltre alla delusione per la stagione di scarica spiega c’è poco prodotto, nelle zone più alte ci sono stati problemi di allegagione (la trasformazione da fiore a frutto) e poi c’è stato un fenomeno preoccupante di cascola, la caduta delle olive, al quale non riusciamo a dare spiegazione. Ad aumentare i problemi la grandine estiva che ha causato perdita di frutto in diverse aziende».
L’allarme è stato lanciato anche da Coldiretti e Confagricoltura: si è di fronte a nuovi nemici che si vanno ad aggiungere alla già temuta mosca olearia – nel primo anno in cui non si può più utilizzare il dimetoato, arma chimica per eccellenza – e alla cimice asiatica che si sta combattendo con i lanci di vespe samurai. «In buona parte della provincia spezzina sottolinea il presidente della sezione olivicola di Confagricoltura Liguria, Armando Schiffini sono stati segnalati molti casi di cecidomia che è un insetto che depone le uova all’interno delle foglie». Tirando le somme, siamo di fronte a una produzione a macchia di leopardo, con zone che si salvano in particolare quelle costiere e altre meno fortunate. «L’alternanza è indubbiamente più marcata spiega Carlo Siffredi, presidente Consorzio di tutela dell’olio DOP. Peccato, perché la qualità è alta: cresce la richiesta e c’è grande attenzione verso l’olio certificato. C’è qualche isola felice, ma più che parlare di zona geografica occorre valutare l’esposizione degli oliveti, le temperature, l’umidità»
Fonte: Il Secolo XIX