Renato Zaghini è diventato presidente del Consorzio di tutela del Grana Padano solo pochi giorni fa. Ma alle spalle ha l’esperienza di chi per 21 anni è stato alla guida della cooperativa Caseificio Europeo di Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova. E soprattutto, ha le idee chiare: in un momento di incertezza come questo, mantenere le quote di mercato è molto più importante che mantenere il livello di prezzo.
Esattamente al contrario di quanto a fine giugno ha deciso la DOP del Parmigiano Reggiano, la cui assemblea dei soci ha detto sì al ritiro dal mercato di 320mila forme pur di arginare il crollo dei prezzi del 40 per cento. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ismea, con 1,43 miliardi di euro il Parmigiano Reggiano è la prima DOP italiana per valore alla produzione, ma il Grana Padano DOP viene immediatamente dopo al secondo posto, con 1,27 miliardi. Due grandi consorzi, due simboli del made in Italy, due formaggi rivali. E due strategie per affrontare il 2020 assolutamente diverse.
Perché al Consorzio del Grana Padano DOP avete deciso che la via maestra non passa dalla tenuta dei prezzi?
I cugini del Parmigiano Reggiano DOP non me ne vogliano, se scegliamo di percorrere un’altra strada. Io però credo che oggi, in una situazione così nuova e delicata, la cosa più importante sia la continuità dei consumi. Chi pensa di poter guidare il mercato partendo dai prezzi si illude. I consumatori oggi sono in difficoltà e ancora di più lo saranno in autunno: quanti posti di lavoro non ci saranno più? In una società non ci può essere chi ha il bue d’oro e chi non ha neanche una capretta. È vero, in termini di prezzo abbiamo perso, più o meno un euro al chilo. Ma in questo momento mi interessa di più che le famiglie e i consumatori non abbandonino il Grana Padano. Perché è solo mantenendo lo stesso livello di consumi, che possiamo mantenere lo stesso livello di produzione.
Quanto Grana Padano produrrete dunque quest’anno?
Durante il lockdown, per scelta abbiamo deciso di non lasciare indietro nessun allevatore e abbiamo trasformato ogni litro di latte che ci è stato conferito. La vendite nella grande distribuzione sono andate bene, ma la chiusura dei ristoranti e dei bar ha pesato anche per noi. Nel 2019 avevamo prodotto oltre 5,16 milioni di forme di Grana Padano, è chiaro che quest’anno non potremo permetterci altrettanto. Così, durante l`ultima assemblea dei soci, pochi giorni fa, abbiamo ritoccato al ribasso il piano produttivo per il 2020, contenendo la produzione tra 4,8 e 5 milioni di forme.
Quanto ha pesato, la chiusura dei ristoranti e dei bar sul fatturato dei produttori del consorzio?
Ha pesato, certo. Ma più ancora che questo, pesa il fatto che il grana è un prodotto ancora troppo imitato non solo all’estero, ma anche e soprattutto in Italia. Ai tavoli della ristorazione, insomma, troppo spesso viene servito un formaggio che Grana non è, ma che gli assomiglia parecchio. Da tempo chiediamo alla politica di intervenire, rendendo obbligatorio scrivere nelle carte dei menu il tipo di formaggio contenuto in ogni piatto. Come consorzio, abbiamo deciso di investire diversi soldi nella formazione di cuochi, ristoratori e fornitori, per convincerli a scegliere il Grana al posto dei formaggi di più bassa qualità. Sono convinto che il Grana Padano oggi nella ristorazione potrebbe crescere del 20%, se solo riusciremo a riconquistare le fette di mercato che sono state occupate dai prodotti cosiddetti “similiari”, non DOP.
Come sta andando l’export?
I mercati stranieri per noi sono importanti perché assorbono il 40% di quanto produciamo. E la ristorazione all`estero per noi vale addirittura di più di quella italiana. Oltre al Coronavirus, anche i dazi imposti dal presidente Trump per la questione Airbus non hanno aiutato. Ma al contrario di quanto prevedevamo, anche con i dazi i consumatori americani non hanno abbandonato il Grana Padano. Quello statunitense è uno dei nostri mercati più importanti e al momento sembra che, nonostante i dazi e il Covid-19, quest`anno ce la caveremo con un meno 3% soltanto.
E la ripresa, quando la vede?
Personalmente, sono convinto che torneremo presto ai livelli pre-virus. Credo che la ripresa ci sarà già nel 2021, sempre che l`anno prossimo coincida con una svolta nel vaccino e nei medicinali per la cura del Coronavirus.
Fonte: Il Sole 24 Ore