Radicchio di Verona IGP: i produttori lanciano un vero e proprio allarme. Secondo una stima fornita da Coldiretti, quest’anno si registra il 30-35% in meno di ettari coltivati nella nostra provincia a Radicchio di Verona IGP e rosso semilungo. «Questa coltivazione non è più redditizia, perché ha alti costi di produzione e quindi, molti la abbandonano», affermano Massimo Mariotto e Domenico Lorenzetti, produttori di Radicchio di Verona IGP ad Arcole e a Casaleone e presidenti delle locali sezioni della Coldiretti. «Questa situazione», sottolineano i due coltivatori, «si verifica in un’annata in cui, nonostante l’autunno caldo e piovoso, il radicchio è piuttosto buono, anche se quantitativamente inferiore rispetto agli anni scorsi e i prezzi all’ingrosso sono discreti».
Gli ultimi dati consolidati disponibili sono quelli elaborati per la stagione 2018 dalla Camera di commercio. La produzione di Radicchio di Verona IGP, pari a 230mila quintali, valeva il 17,1% di quella regionale e l’8,2% di quella nazionale. La provincia di Verona era la terza in Veneto e la quarta in Italia. La situazione ora potrebbe peggiorare anche a causa delle scelte dei consumatori, che sembrano preferire prodotti di quarta gamma, ovvero le buste contenenti insalate già lavate, o il radicchio lungo, ritenuto più morbido e più adatto alla cottura. E pensare che il radicchio veneto che registra storicamente la più elevata produzione e diffusione, il Radicchio di Chioggia IGP, sta affrontando una stagione particolarmente tribolata, a causa delle condizioni climatiche avverse e delle basse quotazioni di mercato.
Il Verona, insomma, potrebbe sfruttare spazi di mercato inaspettati. «Il Radicchio di Verona IGP è una delle storiche eccellenze veronesi e deve essere ulteriormente valorizzato, partendo dalle sue qualità organolettiche», evidenzia Giuseppe Ruffini, direttore di Coldiretti Verona, che ne sottolinea le proprietà nutritive: ricco di sali minerali, soprattutto ferro e potassio, è formato per oltre il 90% d’acqua e ha basso contenuto di calorie. «Inoltre», precisa Ruffini, «è una coltura di per sé biologica».
Fonte: L’Arena