Per la Corte di giustizia l’Italia ha usato criteri arbitrari e non in linea con le regole europee nel guantifïcare le multe. Che, ora vanno ricalcolate Lo Stato italiano ha usato criteri arbitrari e non in linea con le regole europee nel quantificare le multe latte comminate nella campagna 2003/2004. Lo Stato ora deve ricalcolare le inulte a chi ha prodotto più del dovuto . E redistribuire «lo sconto » applicato allora in proporzione alle quote allora detenute . L’obbligo di ricalcolo vale per tutti , sia per gli allevatori che hanno pagato mensilmente il prelievo , sia per quelli che non l’hanno mai fatto.
Salta il banco delle multe latte. Lo Stato italiano ha usato criteri arbitrari e non in linea con le regole europee (art. 9 del Regolamento CEE n. 1392/2001) nel quantificare le multe latte comminate nella campagna 2003/2004, allorquando l’Agenzia italiana per le erogazioni in agricoltura (Agea) cancellò con un colpo di spugna le multe comminate ai produttori che avevano splafonato la quota produttiva in loro possesso, solo perché avevano aderito al versamento mensile dei prelievi supplementari. Minor gettito, che poi venne imputato agli altri splafonatori; quelli che non hanno mai versato il prelievo supplementare in quegli anni. Questa azione è stata resa possibile da una categoria prioritaria introdotta dal legislatore italiano, con l’articolo 9 della legge 119/2003, che ha consentito di compensare i prelievi supplementari, privilegiando chi ha versato. E cancellando loro le multe. Uno «sconto» reso possibile non perché l’Italia non aveva superato la quota nazionale assegnata, ma perché un quantitativo di singole quote latte era rimasto inutilizzato. Dunque, poteva essere redistribuito agli allevatori. Ieri, il metodo di redistribuzione deciso dall’Italia è stato sonoramente bocciato dalla Corte di giustizia europea, con la sentenza relativa alla causa C-46/18, che ha visto contrapposti il Caseificio Sociale San Rocco e altri, avverso Agea e Regione Veneto. ItaliaOggi, a riguardo, aveva già dato conto delle conclusioni dell’Avvocato generale Michal Bobek, il 15 marzo 2019.
Fonte: Italia Oggi