Tutto ciò che sembrava rappresentare un pezzo rilevante della nuova America fortemente voluta da Obama, dalle politiche di salvaguardia ambientale alla cultura del cibo sano fino alle timide aperture del trattato di libero scambio commerciale, sono state spazzate via dalle misure adottate dal presidente Usa Trump in questo inizio di mandato.
Con le nuove politiche protezionistiche annunciate proprio in questi giorni si potrebbero accendere scontri commerciali capaci di mandare in tilt l’asse internazionale del commercio agroalimentare mettendo in seria difficoltà tutte le imprese europee – soprattutto italiane e francesi – che hanno puntato sul mercato a stelle e strisce. “Servono nuove garanzie – ha dichiarato il ministro Maurizio Martina – per la tutela dell a distintività delle produzioni, libere di circolare nel mondo senza essere imitate, non una nuova stagione di chiusure” Nel settore agroalimentare gli Stati Uniti infatti, sono il terzo mercato di destinazione assoluto e il primo extra Ue per l’Italia, per un valore di 3,84 miliardi di euro – secondo elaborazioni Ismea – che rappresentano una fetta pari al 10% dell’export Food & Beverage italiano, con un trend di crescita del +5,7% nel 2016.
Numeri che sono confermati anche a livello di Comunità Ue per la quale gli Usa sono il primo mercato di riferimento (16% dell’export complessivo agroalimentare) per un giro d’affari da 20,6 miliardi di euro e una crescita annua del +6,5%. In questo contesto, i prodotti DOP IGP rappresentano gli ambasciatori della qualità Made in Italy negli Usa così come nel resto del mondo. Basterà citare il dato relativo a due eccellenze come Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP che hanno esportato in Usa nel 2016, secondo dati Clal, oltre 14mila tonnellate di prodotto per un valore di 136 milioni di euro.
Ma gli Stati Uniti sono il primo sbocco anche per altre grandi produzioni certificate italiane come il Prosciutto di Parma DOP cresciuto del +7% nell’ultimo anno nel mercato americano con 623mila prosciutti esportati, o l’Aceto Balsamico di Modena IGP che destina oltre il 37% della produzione al solo mercato statunitense, per un giro d’affari vicino di 280 milioni di euro. Proprio per quest’ultimo prodotto si tratterebbe di una debacle perché già oggi il prodotto viene copiato nel nome da una pletora di industrie americane come dichiara Cesare Mazzetti presidente di Acetum, una delle maggiori aziende che esportano negli Sati Uniti.
Molti, in questo senso, i timori dei nostri produttori di qualità che molto hanno investito per rispondere alla domanda del mercato Usa. “Nel 2016 – afferma Riccardo Deserti Dg del Consorzio del Parmigiano Reggiano DOP – gli Usa sono diventati il primo mercato di export con circa 10.000 ton con un +40% negli ultimi 2 anni. Un eventuale raddoppio del dazio creerebbe un danno stimabile da un minimo di 20 a un massimo di 40/50 milioni di euro”.
“Speriamo di rimanerne fuori – commenta Stefano Fanti, Dg del Consorzio del Prosciutto di Parma DOP. Gli Stati Uniti sono il nostro primo mercato estero, un mercato che vale il 22-23% del totale delle nostre esportazioni per un controvalore di 80 milioni di euro”.
I pericoli di una deriva isolazionista degli Usa sono resi concreti anche dalle volontà espresse dalla potente industria alimentare a stelle e strisce che coincidono su molti aspetti con le intenzioni del miliardario-presidente di rendere la nazione autosufficiente dal punto di vista della produzione. Ad esprimere con forza questo fenomeno c’è l’azione del Consortium for Common Food Names, strumento di lobby dell’industria Usa in forte pressing su Trump per chiedere «aggressività» contro le politiche europee di promozione dei prodotti a Indicazione Geografica (Dop e Igp), ree di voler usurpare i nomi generici dei prodotti-copia nordamericani, che nella maggior parte dei casi rientrano nel cosiddetto «italian sounding» collegato a prodotti come «parmesan» e «asiago cheese».
Un fenomeno che si configura prima di tutto come un affronto al consumatore americano che, come dimostra, ad esempio, una ricerca commissionata dal Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano DOP, nel 66% dei casi considera il «parmesan» un prodotto tipico italiano. Tutte evidenze del fatto che una ritorsione contro le eccellenze del nostro Paese deve essere combattuta non solo con la diplomazia commerciale internazionale, ma anche innalzandola consapevolezza e la sensibilità dei consumatori degli stessi Paesi che puntan o ad innalzare barriere.
Senza reazioni, con le nuove misure protezionistiche annunciate dal neo presidente, rischiano di uscire sconfitte tanto la cultura della qualità ben rappresentata dai veri produttori italiani, quanto l’aspirazione di ogni cittadino americano di mangiare consapevolmente il cibo che preferisce, senza contare il danno arrecato agli equilibri economici del sistema agroalimentare europeo.
Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita
Fonte: l’Unità