L’effetto domino del protezionismo è sotto gli occhi di tutti. Si comincia, anche con qualche buona ragione, ma non si sa dove si finisce. L’Europa ha reagito ai dazi di Trump su acciaio, alluminio, lavatrici e pannelli solari aumentando le tariffe applicate a una serie di prodotti americani, dalle noccioline al Bourbon. Mosse analoghe sono annunciate da messicani e canadesi. Sullo sfondo il conflitto ormai deflagrato fra Stati Uniti e Cina. Washington ha minacciato un innalzamento delle tariffe sul io per cento dell’import da Pechino, un valore di 200 miliardi di dollari. Il protezionismo sta al libero mercato come la legge del taglione alla giustizia. La ritorsione è la regola. E nel vociare indistinto, si perdono facilmente di vista le ragioni che giustificano misure dirette a combattere la concorrenza sleale, le vendite in dumping, le pratiche scorrette. Secondo l’ufficio studi di Confindustria, le misure protezionistiche annunciate potrebbero portare, se estese per esempio a tutto il settore automotive, a una perdita dell’u del prodotto lordo mondiale. Nello scenario peggiore, al momento poco probabile, Sace, la società pubblica che assicura i crediti all’export, ipotizza un calo di 2 punti percentuali nelle nostre vendite all’estero quest’anno e di 3,5l’anno prossimo. La ripresa italiana è quasi tutta dovuta al grande successo delle esportazioni. Nel 2017 il saldo commerciale ha sfiorato i 5o miliardi. Un record.
CETA DOP IGP
Il neo ministro dell’Agricoltura e del Turismo, il leghista Marco Centinaio, è convinto che il CETA tuteli solo una piccola parte dei nostri prodotti DOP o IGP e non ci protegga affatto dalla minaccia del cosiddetto italian sounding, il falso made in Italy, come il famigerato Parmesan. La Coldiretti applaude. Quel complesso trattato, frutto di molti compromessi e di infiniti negoziati, ha certamente dei difetti. «Ma non si può pensare – dice il presidente di Sace Beniamino Quintieri – che in un’intesa fra due parti ci guadagni soltanto una. Vanno valutati gli interessi generali. Esempio: i pastai trovano nel grano duro canadese una certa qualità. Non che il nostro sia da meno. Ma il chilometro zero non è sempre la risposta migliore, quella che ci consente di conquistare i mercati internazionali. Pensate solo se il chilometro zero lo facessero tutti gli altri». I prodotti tipici italiani inseriti nell’accordo tra Unione Europea e Canada sono 40. La Francia ne ha solo due in più. Con il CETA, per esempio, il Parmigiano Reggiano DOP è tutelato. Senza vincerebbero il Parmesan e tutte le altre falsificazioni. Insomma, che cosa è meglio per gli interessi del Paese? «La lista dei prodotti tutelati – aggiunge Quintieri – è aperta. Si può sempre intervenire a favore di una eccellenza italiana. E prima del negoziato, il Canada non sapeva nemmeno che cosa fosse la denominazione di origine protetta. Era un concetto che sfuggiva alla sua cultura. Dovrebbero pensarci i rappresentanti Tornare indietro non mi sembra una buona idea».
Fonte: Corriere della Sera
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