Uno studio italo-francese confronta le due tipologie di “Origin Food Schemes” per rivelare analogie e differenze nella loro istituzionalizzazione e i risultati sulla biodiversità culturale per quattro casi studio in Francia, Italia e Marocco
Numerose sono le rivendicazioni ambientali e culturali attribuite sia alle Indicazioni Geografiche che ai Presidi Slow Food che sostengono la loro efficacia nel difendere la biodiversità culturale, cioè quel “legame inestricabile” tra diversità biologica e culturale, che comprende la lingua, i valori culturali, conoscenze e pratiche tradizionali. La biodiversità culturale, anche detta agricola, è infatti essenzialmente il risultato dell’intervento dell’uomo negli ecosistemi attraverso processi culturali, conoscenze e pratiche agricole (Fig. 1). Ciononostante, alcuni autori mettono in discussione l’impatto delle IG sulla biodiversità culturale quando i prodotti tipici, in particolare quelli provenienti dal Sud del mondo, diventano prodotti globali e gli agricoltori locali rischiano di perdere il controllo delle loro risorse locali e la sovranità alimentare a favore di interessi privati. Questa situazione rappresenta una minaccia per le conoscenze locali, le risorse genetiche e, più in generale, lo sviluppo sostenibile.
Come definire e contestualizzare i sistemi di valorizzazione dell’origine
In questo documento, ci riferiremo alle Indicazioni Geografiche e i Presidi Slow Food come Sistemi di Valorizzazione dell’Origine (SVO), ovvero iniziative pubbliche o private che riconoscono e valorizzano prodotti tipici partendo dal presupposto che la qualità unica di tali prodotti sia determinata dalla loro origine geografica.
Questi due SVO condividono un obiettivo comune, vale a dire il riconoscimento e la promozione degli alimenti di origine, ma lo perseguono con modalità molto diverse: le IG sono strumenti legali e di marketing orchestrati dall’UE, mentre i Presidi Slow Food sono iniziative della società civile. IG e Presidi Slow Food sono caratterizzati tuttavia da alcuni punti in comune: la produzione è radicata localmente; il legame prodotto-luogo deriva dalla conoscenza e cultura locale; la qualità degli alimenti è ben nota, documentata e storicamente legata alla regione geografica; il processo di produzione è un patrimonio collettivo e pubblico che appartiene alla comunità dei produttori; le IG e i Presidi, come strumenti legali di proprietà intellettuale, non possono essere venduti o ceduti e non sono generalmente soggetti a rinnovo.
Storia, territorio, tradizione e cultura: il valore dell’origine del cibo
Gli SVO attirano un’attenzione crescente in tutto il mondo perché hanno molteplici funzioni. In primo luogo, lo SVO crea valore di mercato per gli alimenti di origine, sulla base della fiducia che i consumatori ripongono nell’unicità e nell’autenticità del cibo locale. Inoltre, lo SVO contribuisce al commercio equo e trasparente degli alimenti, proteggendo i consumatori e i produttori dalla commercializzazione ingannevole di alimenti non autentici. Lo SVO genera infine impatti ambientali, sociali e culturali significativi.
Approfondendo quest’ultimo aspetto, l’istituzione degli SVO mira a stabilire un collegamento certo tra un prodotto e un territorio, una comunità. Un processo collettivo di governance, il consolidamento di legami storici e culturali e la promozione di pratiche sostenibili formano un legame multidimensionale degli SVO con un territorio. Ciò suggerisce che gli SVO possono fornire un contributo significativo alla sicurezza alimentare e al mantenimento delle abitudini alimentari locali, influenzare lo sviluppo economico di una zona specifica ed essere utilizzati come strumenti di sviluppo locale. Inoltre, possono trasformare le risorse culturali e biologiche in patrimonio collettivo, cioè un bene comune con un valore economico, culturale o ambientale, o essere utilizzati come un’opportunità per partecipare ai movimenti sociali che mirano a proteggere i valori delle comunità locali. Gli SVO difatti permettono di resistere alla “perdita del luogo”, cioè al proliferare di cibi spogliati della loro unicità, come risultato dell’industrializzazione e globalizzazione dell’agroalimentare.
Mariagiulia Mariani è assegnista di ricerca dell’Università di Pisa e lavora col gruppo PAGE, Food and Rural Studies for Sustainability, occupandosi di innovazione sociale. Collabora anche con il CIRAD e l’Università di Catania, istituzioni presso le quali ha ottenuto nel 2018 il suo joint PhD in Geografia e in Agricultural, Food and Environmental Science, con una tesi sull’effetto delle DOP e altri sistemi di labeling sulle pratiche tradizionali di produzione di formaggi di montagna.
Indicazioni Geografiche e Presidi Slow Food a confronto
Il confronto del quadro istituzionale di entrambi i tipi di SVO dimostra che questi sistemi offrono una notevole flessibilità e opportunità nel riconoscimento e valorizzazione della biodiversità culturale. Infatti, gli SVO hanno un approccio collettivo e aperto, e i valori non economici sono intrinsecamente connessi nel processo di creazione del patrimonio. Tuttavia, le differenze tra i due SVO dovrebbero essere considerate per determinare quale sia il miglior strumento di mercato in base a ogni contesto e agli obiettivi specifici degli attori locali. Ad esempio, la nostra analisi suggerisce che per sostenersi, il modello delle IG deve nascondere la riduzione della diversità e gli effetti di standardizzazione che sono necessari per garantire un certo grado di omogeneità e riconoscibilità dei prodotti sul mercato. Una variabilità eccessiva, risultante da condizioni e pratiche diverse, non è compatibile con il sistema delle IG. Al contrario, la comunicazione Slow Food mira a nascondere o comunque minimizzare l’influenza del mercato agli occhi dei consumatori. Le esigenze di mercato che determinano le scelte dei produttori coinvolti sono volontariamente sottovalutate.
Inoltre, i risultati suggeriscono che le caratteristiche istituzionali dei due SVO generano problemi distinti in relazione alle pratiche tradizionali. Nelle Indicazioni Geografiche, abbiamo osservato il problema dell’accesso dei produttori più piccoli all’iniziativa e l’esclusione delle loro pratiche più tradizionali, a causa delle regole e barriere imposte dallo SVO, ad esempio il costo per la certificazione e gli standard di igiene e sicurezza. Per quanto riguarda i Presidi, alcune pratiche e produttori possono essere esclusi dall’iniziativa come risultato di una decisione arbitraria dell’autorità Slow Food.
Per finire, le caratteristiche e le potenzialità degli SVO variano a seconda del contesto economico e giuridico nazionale. Infatti, mentre la definizione giuridica di IG in Italia, Marocco e Francia è quasi identica, la sua traduzione pratica differisce. In Francia i prodotti IG sono stati sostenuti dalle istituzioni nazionali, determinandone la diffusione all’interno di una industrializzazione agricola. L’Italia vanta un panorama di prodotti tipici più diversificato, caratterizzato dalla persistenza di prodotti e pratiche tradizionali. Qui il sostegno governativo è basato principalmente su istituzioni e dinamiche regionali, con iniziative parallele al di fuori del controllo statale (come Slow Food). Dall’altro lato, in Marocco, lo sviluppo rurale nel settore alimentare IG è caratterizzato da iniziative governative, top-down, che mirano a ricercare sbocchi remuneratori sui mercati europei e alla volontà istituzionale di sostenere l’agricoltura delle zone rurali svantaggiate.
Gli alimenti di origine sono il risultato della co-evoluzione di piante, animali e persone legate da una cultura delle tecniche e del know-how insita nelle pratiche agronomiche e di trasformazione, in grado di costruire il patrimonio culturale agroalimentare di un territorio. Tali conoscenze e pratiche sono essenziali per l’identità, la reputazione, la commercializzazione e la (ri)produzione di alimenti di origine. Anche le abitudini specifiche di consumo, le preferenze di gusto, la memoria collettiva, le tradizioni e l’organizzazione sociale contribuiscono a costruire la biodiversità culturale. La ricerca è stata condotta su quattro formaggi di origine coinvolti in uno dei due SVO studiati (IG o Presidio), situato in tre Paesi (Francia, Italia e Marocco), seguendo la metodologia dei “casi di studio”. Ogni caso di studio è stato affrontato attraverso due periodi di lavoro sul campo condotti tra dicembre 2013 e agosto 2015, e visite di follow-up sono state eseguite nel 2016 e nel 2017.
Come il potere agisce sulla conoscenza dei prodotti
Uno degli obiettivi fondamentali di questo articolo è quello di comprendere come i rapporti di potere agiscono nelle questioni legate ai saperi, alle conoscenze e alle pratiche che riguardano gli SVO, che sono un aspetto fondamentale nella valutazione dei loro output e impatti. I risultati mostrano che gli SVO possono essere considerati come “tecnologie di governo”. Gli SVO sono retti su regole riguardanti chi può farne parte e a quali condizioni, e così facendo contribuiscono a limitare la proprietà di un bene comune, cioè quella di un prodotto locale, con il suo nome e le sue pratiche di produzione. Di fatto, quindi, lo SVO definisce e limita le possibilità di azione degli attori locali. Ad esempio, l’IG del formaggio di capra di Chefchaouen, in Marocco, esclude dall’IG le pratiche tradizionali e le abitudini alimentari locali, che vengono considerate obsolete secondo i parametri occidentali.
I risultati mostrano che le traiettorie degli SVO sono influenzate da uno squilibrio di potere tra le parti interessate e le loro conoscenze. Gli attori locali più forti possono prevaricare ed eventualmente anche escludere gli attori e le pratiche più marginali. Per evitare che la biodiversità culturale venga minacciata dalle pressioni del mercato, è quindi cruciale il ruolo di istituzioni protettive.
Abbiamo osservato che le traiettorie degli OFS sono influenzate dalle autorità il cui contributo è spesso nascosto alla percezione dei consumatori. I nostri risultati mostrano, per esempio, che Slow Food agisce come un’autorità che definisce il quadro attraverso il quale le qualità fisiche ma anche morali sono valutate e scartate. Infine, i risultati confermano che gli SVO sono uno strumento interessante per ridurre l’asimmetria di informazione e gli effetti di dequalificazione sui produttori e sui consumatori generati dalla modernizzazione dell’agricoltura. In particolare, gli SVO includono i consumatori come parte della comunità di apprendimento, a differenza di sistemi di certificazione e delle etichette che forniscono solo passivamente informazioni ai consumatori. Gli SVO predispongono la possibilità di generare conoscenza a sostegno di un’economia alimentare alternativa. Questo articolo ha permesso anche di mettere a fuoco una situazione tanto frequente quanto sottovalutata, cioè la coesistenza di entrambi gli SVO studiati su uno stesso (o simile) prodotto, nella stessa (o simile) area. La combinazione e la sovrapposizione di due SVO sono frequenti e sono possibili diverse configurazioni. Queste sovrapposizioni possono aiutare a evitare scorciatoie e riduzionismo, differenziando ad esempio micro-aree che corrispondono a caratteristiche di produzione diverse. Ciononostante, possono anche portare a conseguenze indesiderate, come ad esempio il rischio che i consumatori, esposti a un numero crescente di etichette, siano confusi. Tuttavia, i nostri risultati suggeriscono che tale coesistenza produce generalmente una riflessione dinamica in relazione alla biodiversità culturale, nelle motivazioni e nei modi che vengono utilizzati per gestire le risorse locali.
Strumenti per riconoscere l’importanza della biodiversità culturale
Partendo dall’analisi della complessa relazione tra SVO e biodiversità culturale, è possibile indicare quali siano i fattori che contribuiscono a generare un quadro positivo, garantendo lo sviluppo sostenibile delle iniziative.
È ampiamente riconosciuto che l’avvio e l’uso degli SVO sono il risultato di diverse motivazioni, strategie e interessi dei molteplici attori locali, comprese le istituzioni, e che sono inquadrati da realtà sociali, tecniche ed economiche. Questo studio evidenzia la dimensione ontologica della biodiversità culturale. Quest’ultima sembra essere una comune “piattaforma simbolica” su cui i diversi attori possono incontrarsi per confrontarsi e utilizzare gli stessi concetti pur seguendo i loro obiettivi e scopi specifici.
Concludiamo così che i confronti tra gli attori coinvolti negli SVO, alimentati da dinamiche e aspetti legati a conoscenza, saperi e pratiche, contribuiscono a determinare gli effetti degli SVO sulla biodiversità culturale. Sebbene una necessaria standardizzazione del know-how sembri non essere pienamente compatibile con i il mantenimento della biodiversità culturale, gli attori locali sia nelle IG che, in particolare, nei Presidi, hanno un ruolo nell’interpretare, comunicare e reinventare il sapere tradizionale. Pertanto, gli SVO contribuiscono al riconoscimento dell’importanza della biodiversità culturale e delle pratiche tradizionali, piuttosto che “proteggerle” o “fissarle”.
Titolo
Protecting Food Cultural Biodiversity: From Theory to Practice. Challenging the Geographical Indications and the Slow Food Models
Autori
M. Mariani, F. Casabianca, C. Cerdan, I. Peri
Fonte
Sustainability 2021, 13, 5265.
https://www.mdpi.com/2071-1050/13/9/5265
A cura della redazione
Fonte: Consortium 2023_03