Il Consorzio di Tutela della denominazione di origine controllata Prosecco, sull’onda del successo planetario e di una performance all’export dai numeri incredibili (+290% in valore dal 2010 al 2015 registrato da Wine Monitor di Nomisma per la categoria spumanti italiani DOP – al netto dell’Asti), si trova a fronteggiare sempre più numerosi tentativi di imitazione in tutto il mondo. Alcuni sono particolarmente complicati da risolvere, come quello che riguarda i 160 ettari di Glera (il vitigno da cui deriva il Prosecco) piantati in Nuova Zelanda, dove nel giro di qualche anno potrebbe essere commercializzato «vero» Prosecco. Ma il Prosecco che viene «dalla fine del mondo» non spaventa il Consorzio, che della lotta legale perla tutela della denominazione
ha fatto una priorità già da qualche anno.
Le frodi, infatti, danneggiano il consumatore globale almeno quanto il produttore locale, legato alla denominazione di origine. Luca Giavi, Direttore del Consorzio di Tutela, riporta il caso dell’Australia. Nell’accordo sul vino tra Australia e UE c’è scritto che il nome della varietà non coincide con quello della denominazione, ma nello stesso accordo è anche riconosciuta la tutela del consumatore. Ecco perché Giavi afferma che “chiamare un vino realizzato all’altro capo del mondo Prosecco sarà anche legale ma non è corretto, perché è fuorviante“. L’intenzione del Consorzio è quella di battersi in ogni sede contro questa speculazione e per far valere i principi del sistema europeo, poichè è l’unico che tutela non solo il produttore ma anche il consumatore.
Fonte: L’informatore Agrario