Prosecco: il Consorzio “di pianura” contro quello “di collina”: basta comparazioni ingiuste. E dal ministero arriva un nuovo Codice di autoregolamentazione. Convocati i CDA.
Addio al Prosecco DOCG? Una croce sul Prosecco Superiore? Il tema sta tenendo banco in questi giorni dopo che dal ministero delle Politiche agricole è arrivata la richiesta di regolamentare la denominazione delle bollicine venete. Tant’è che il Consorzio Conegliano Valdobbiadene DOCG ha già convocato per venerdì una riunione. Solo che il nuovo “Codice” rischia di avere ripercussioni non solo sulle bollicine, ma anche sulle manifestazioni che utilizzano il famoso nome. Ad esempio: la corsa di ciclismo potrà ancora chiamarsi “Nova Eroica Prosecco Hills”? E i territori Patrimonio dell’Umanità tutelati dall’Unesco potranno ancora definirsi “Paesaggio del Prosecco Superiore”?
Vista da lontano potrebbe sembrare una bega paesana se non fosse che in ballo c’è un giro d’affari che sfiora i 5 miliardi di euro, con quasi 1 miliardo di bottiglie vendute. Appunto: quali bottiglie? Il Prosecco DOC o il Prosecco DOCG? E quale Prosecco DOCG? Quello di Conegliano-Valdobbiadene o quello di Asolo? La domanda non è peregrina perché tutto sembra giocarsi tra la rivalità dei produttori, quelli di “collina” (pochi) e quelli di “campagna” (tanti). Un passo indietro. Fino a una decina di anni esistevano due tipi di “prosecco”: quello prodotto in collina, il Doc; e quello della pianura che aveva il marchio IGT.
Le nuove regole si devono all’allora ministro all’Agricoltura Luca Zaia: la vite del prosecco venne denominata Glera, il vino Prosecco poteva dirsi tale solo se prodotto in determinati territori. Semplificando, si può dire che il vecchio Prosecco IGT di pianura divenne DOC e quello delle colline DOCG. A livello organizzativo nel tempo si sono creati tre Consorzi: il DOCG Asolo Prosecco, il DOCG Conegliano Valdobbiadene Prosecco, il DOC Prosecco.
Che differenze ci sono tra le varie sigle? La “piramide” dei vini in Italia è, a partire dalla base, la seguente: vini da tavola (senza indicazione di origine), vini IGT (con Indicazione geografica tipica), vini DOC (con Denominazione di origine controllata), vini DOCG (con Denominazione di origine controllata e garantita). Se questa è la scala – e si capisce benissimo che i Docg sono una spanna sopra – perchè al Prosecco dovrebbero essere poste delle limitazioni? Perché se ne sta occupando nientemeno che il ministero? E ancora: i Consorzi non hanno nulla da dire?
Tutto è partito dal Consorzio di tutela della DOC Prosecco, diretto da Luca Giavi. Che spiega: «Nel tempo si sono create delle prassi di utilizzo di termini che non sono corretti. Ad esempio: il Prosecco Superiore non esiste. Così noi della Doc abbiamo chiesto al ministero di mettere delle regole, anche per difendersi da attacchi da parte di terzi, e di eliminare una serie di utilizzi scorretti delle denominazioni». E la concorrenza tra DOC e DOCG? Un conto è la concorrenza, dice Giavi, altra cosa è sostenere che un vino sia migliore di un altro: «C’è il Chianti Classico e c’è il Chianti. Mica posso dire che il primo è migliore del secondo». E le manifestazioni che utilizzano il termine “Prosecco” che fine faranno? Giavi: «Si vedrà, caso per caso». Ma non si potrebbe a questo punto eliminare i tre Consorzi e farne uno solo? «I tempi non ce lo consentono, non siamo pronti».
[…]
Fonte: Il Gazzettino