«Di prosciutto veneto ne esiste uno solo», tiene a sottolineare Vittorio Daniolo, presidente del Consorzio di tutela Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP. «In Veneto abbiamo tanti prodotti a marchio di origine e qualità, tanti vini, radicchi, formaggi. Ma di prosciutto ce n’è uno solo, il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP». Prodotto in un angolo del Veneto meridionale, fra i Colli euganei e i Colli berici, a cavallo fra le province di Padova, Vicenza e Verona, il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP è venduto in circa 100 mila cosce dai dieci produttori che costituiscono il Consorzio. Il fatturato è di 10-11 milioni. Siamo lontani dai numeri dei “cugini” San Daniele DOP e del Prosciutto di Parma DOP, eppure il prosciutto crudo marchiato a fuoco con il leone di San Marco dopo 12-20 mesi di stagionatura è sempre più conosciuto e apprezzato, anche oltre confine. «I nostri prosciuttifici sono al massimo della produzione», spiega Daniolo, «e non è possibile spingere oltre». L’anno scorso il numero di prosciutti ha fatto un buon balzo in avanti grazie alla ripresa dell’attività di due prosciuttifici prima in stand by.
Ora il momento è propizio, anche perché il prosciutto è piuttosto popolare. «I consumatori guardano al portafoglio, questo è vero», continua il presidente del Consorzio, «ma è il prezzo che fa la qualità, lo vediamo anche nei confronti dei nostri principali competitori. Del resto i clienti cercano prosciutti buoni, speciali, stagionati. Per stare sul mercato è necessario un prodotto che il consumatore possa distinguere e apprezzare, per questo stiamo puntando sull’omogeneità dei nostri prosciutti, frutto di una attenta lavorazione tradizionale e artigianale tramandata da secoli». Il prezzo al dettaglio può subire sensibili oscillazioni, in media è compreso fra i 30 e i 37 euro al chilo. Per quasi l’85% il Prosciutto Veneto Berico Euganeo DOP è venduto in Italia, in particolare nel Nord.
L’export cresce soprattutto in Germania, Svizzera, Francia e Austria. «Abbiamo riscontrato interesse anche in Grecia, mentre il mercato russo continua ad essere chiuso. In Europa ci confrontiamo con un mercato comune, ma dovrebbero esserci delle tutele maggiori, più controlli per garantire la qualità e l’origine, fattori che incidono sul prezzo finale. Noi ad esempio selezioniamo le carni da allevamenti prestigiosi, collocati fra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. Su ogni coscia è impresso un codice di tracciabilità, una sorta di carta d’identità. Non si può certo dire che questo valga per tutti i prodotti che arrivano dall’estero o che vengono confezionati in Italia con carni importate da chissà dove».
Fonte: NordEst Economia