Corriere di Romagna
Ieri a Casa Artusi a Forlimpopoli si festeggiava la costituzione del Consorzio di promozione della piadina romagnola in seguito al riconoscimento, transitorio, dell’Igp. Ma sulla festa hanno pesato le critiche di chi, come Slow food Emilia Romagna e le Confesercenti romagnole, continuano a dire no alla denominazione che garantirebbe la piadina prodotta dall’industria. Quattro le province coinvolte, con una produzione di oltre 35 milioni di chili e un fatturato di circa 70 milioni di euro. Del Consorzio, presieduto da Elio Simoni, fa parte un gruppo di produttori di tutta la zona di lavorazione consentita dal disciplinare, da Rimini a il circondario imolese (provincia dì Bologna), passando per Forlì-Cesena e ovviamente anche Ravenna. Molte le iniziative per portare anche davanti alla Commissione europea iniziative di conoscenza e valorizzazione del prodotto, e l’assessore regionale all’Agricoltura dell’Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, ha molto insistito sul valore del riconoscimento Igp: «Nessuno, se non gli aderenti al disciplinare, potranno definire “piadina romagnola” qualcosa che le assomiglia, a pena di sanzioni. Tuteliamo così il nostro prodotto dalle possibilità di contraffazione che abbiamo già visto colpire il parmigiano e tanti altri prodotti Italian style». Ma fra tanta soddisfazione, qualche quesito aperto rimane. Perché in questi giorni Slow Food Emilia-Romagna ha levato gli scudi contro il disciplinare che di fatto identifica come prodotto Igp ogni tipo di piadina senza differenziare quella artigianale da quella industriale a lunga conservazione. I chioschi potranno fregiare i loro prodotti della dicitura “lavorazione manuale tradizionale”, ma non sempre sarà facile per il consumatore comprendere le reali differenze fra un prodotto e l’altro, e scegliere a ragion veduta. Inoltre, dicono i critici, non è specificato che la “piadina romagnola” debba prevedere esclusivamente materie prime locali, con gli ovvi risultati a scapito della credibilità del prodotto quando le etichette riporteranno le provenienze dei componenti. Ma, assicurano Rabbonì e Simoni, questo è il primo passo: e molti altri ce ne potranno essere per confermare la “romagnolità” di questa icona.
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