Tante le eccellenze nazionali che potrebbero essere valorizzate
In Italia vengono settimanalmente commercializzate nei banchi pescheria del fresco, del congelato e nei reparti del trasformato, oltre milleduecento specie ittiche differenti per un numero di referenze che supera le dieci migliaia. Eppure, a differenza di altri settori relativi agli alimenti di origine animale, i prodotti ittici continuano a non avere un loro riconoscimento per quanto riguarda marche o marchi particolari. Anche considerando i prodotti ittici nazionali, che oggi rappresentano circa un terzo rispetto a quelli di importazione, non ci sono ancora specie o produzioni riconosciute e riconoscibili al grande pubblico come “eccellenze” in questo settore. In effetti mancano per il prodotto ittico nazionale, e non solo, esempi come nel campo dei formaggi sono rappresentati dal Parmigiano Reggiano DOP o dal Pecorino Romano DOP o, nel campo dei prodotti a base di carne, il Culatello di Zibello DOP e la Coppa di Parma IGP.
Questo non vuole dire che nel pesce manchino DOP e IGP, anche se attualmente sono soltanto sei in tutta Italia, ma significa soprattutto che, a mio parere, non si sta ancora puntando, per i prodotti ittici, a un mercato di “qualità”. E ho indicato il termine qualità tra virgolette per dire che per me quest’ultima dovrebbe rappresentare un valore aggiunto che ha un determinato prodotto rispetto al convenzionale. Questo valore aggiunto chiaramente dovrebbe essere reale e facilmente comunicabile al consumatore. L’ideale sarebbe che fosse conforme a una linea guida o a un disciplinare delineato da un comitato tecnico-scientifico, possibilmente disciplinato da una normativa e comunque controllato e dunque verificabile da organi ufficiali competenti. In pratica sarebbe utile che il prima possibile, nell’interesse della correttezza del mercato e della tutela del consumatore, si cominciasse anche per il settore ittico, a delineare un sistema di norme utili a garantire non soltanto la qualità igienico sanitaria e una corretta tracciabilità come già oggi avviene, ma anche una qualità relativa ad aspetti ulteriori e definita da “capitolati o linee guida istituzionali” che chiariscano in modo più oggettivo il reale valore aggiunto di un determinato prodotto.
Sarebbe auspicabile, a mio parere, che in futuro diventi un modello ciò che si fa in linea di massima per i “Sistemi europei di Qualità”, istituiti infatti per identificare con chiarezza, autorevolezza e trasparenza prodotti che contengono qualità specifiche rispetto ad altri prodotti della medesima categoria. Non tutti i prodotti ittici e le rispettive loro produzioni sicuramente possono ambire o ha senso che diventino DOP o IGP ma è anche vero che è alquanto sconcertante nel 2020 avere soltanto sei prodotti ittici riconosciuti come tali in tutta Italia: tre IGP ( Acciughe sotto sale del Mar Ligure, Salmerino del Trentino, Trote del Trentino) e tre DOP (Cozza di Scardovari, Tinca Gobba Dorata del Pianalto di Poirino, Colatura di Alici di Cetara).
Una certificazione di questo tipo, se compresa correttamente dal produttore e comunicata altrettanto bene sul mercato, diventa una chiave per creare un enorme valore aggiunto al prodotto in termini di marginalità ma anche di riconoscibilità dentro e fuori i confini italiani, oltre che di tutela rispetto ad eventuali concorrenze sleali da parte di prodotti proposti come simili. Gli aspetti positivi dunque per investire in questa direzione sono numerosi e comunque, anche la recente e non conclusa pandemia determinata dal Covid-19, ha fatto da acceleratore in merito ad una ormai necessaria svolta del settore ittico per quanto riguarda l’importanza di una “qualità” più autorevole e più oggettiva. Oggi, anche non parlando di Indicazioni Geografiche, se non si fornisce al prodotto ittico italiano un valore aggiunto di qualsiasi tipo, non si riuscirà secondo me a competere in modo importante sul mercato nazionale ed internazionale. Di sicuro l’Italia, sia per l’acquacoltura che per la pesca, dovrà mirare a costruire dei capitolati utili a dare una nuova consistenza alla parola qualità e anche a garantirla meglio e a renderla nazionale al fine che si possa davvero parlare in futuro del “made in Italy” come di qualità comprovata per quanto riguarda determinate produzioni ittiche. L’Italia infatti, non potendo competere né per quantità di prodotti ittici né per costi di produzioni con la maggioranza degli altri Paesi potrà valorizzare il proprio patrimonio ittico e convincere anche le nuove generazioni di imprenditori a scommettere su questo settore, puntando su una produzione di qualità concreta e garantita. Poi sarà dunque possibile promuovere, valorizzare e difendere con maggiore facilità anche il nostro “made in Italy” ittico.
A cura di Valentina Tepedino
Fonte: Consortium 2020_04