Importiamo farine dall’Est poi vendute nei supermarket. Una legge per sapere la provenienza. Si possono nascondere truffe e trucchi, che il consumatore sottovaluta e che mettono a rischio la sopravvivenza stessa di molte aziende che producono pane e olio in Italia. Perché se oggi ci siamo abituati a leggere le etichette della carne e della verdura, cercando la provenienza che per legge deve essere scritta in evidenza, non facciamo lo stesso con il pane e con l’olio. Soprattutto per il pane non ci chiediamo da dove arrivi né con quali farine sia stato fatto. Invece dovremmo poter sapere quali semole e quali farine sono state usate, perché sul mercato ci sono materie prime con prezzi bassissimi che provengono da paesi extra Ue, nei quali la lotta fitofarmaco antiparassitaria non esiste o dove è ancora consentito l’uso del bromuro di metile che da noi è bandito. Purtroppo siamo nel caos legislativo e i produttori virtuosi che si attengono ai rigorosi disciplinari di produzione dei pani Dop o di quelli tradizionali e che utilizzano sistemi di produzione nel rispetto delle norme, devono confrontarsi con i grandi gruppi che acquistano il grano dove c’è una sorta di far west degli anticrittogamici.
Il nostro pane quotidiano è ormai sempre più spesso surgelato e arriva dai Paesi dell’Est. E succede non solo nella ristorazione, ma anche nell’acquisto per uso in famiglia. Il «forno», simbolo delle piccole comunità, sta perdendo terreno nei confronti della grande distribuzione, dove le panetterie interne, con un collaudato sistema di «inganno» sensoriale, creano l’illusione dell’acquisto del pane fresco. All’interno della grande distribuzione si trovano spazi riconoscibili per la panetteria che sfornano pane che diffonde un buon profumo nell’ambiente creando l’atmosfera della vendita al dettaglio. I consumatori vengono sedotti da queste fragranze che fanno pensare alla presenza di esperti fornai che preparano un prodotto fresco sul posto. «I consumatori cercano pane sottoprezzo – commenta Bernardino Bartocci, presidente dei Panificatori di Roma – e quello che sfornano i supermercati è poco identificabile. E spesso pane precotto e surgelato. Oggi c’è urgente bisogno di una legge che faccia chiarezza fra il pane fresco e quello conservato o surgelato e che ne imponga la tracciabilità». Nonostante la tendenza ad acquistare il pane a basso costo nei supermercati, in Italia ci sono ancora 26mila panifici, cifra molto più alta che in Francia e Spagna. «Anche se stanno chiudendo molti panifici, in Francia non c’èla stessa situazione che in Italia – commenta Dominique Chaillouet, esperto francese di prodotti agroalimentari perché la nostra legge è molto chiara rispetto all’identificazione del pane fresco e dei suoi ingredienti».
«In Italia – sostiene Edi Jerian di Federpanificatori – c’è un disegno di legge fermo da 9 anni, per la definizione di pane fresco da attribuire solo al pane prodotto nelle 24 ore, con differenziazioni per il pane fatto la notte. La crisi sta penalizzando i piccoli forni artigianali, hanno chiuso il 20 per cento delle attività . Oggi – continua Jerian – ci sono troppe pezzature di pane, anche 40 in un solo forno e forse sarebbe meglio farne meno. Comunque, importare grano e farine resta necessario conclude Jerian- perché il grano italiano serve solo per il 40 % della produzione di pane, senza considerare la pasta». «Questa corsa al ribasso del pane e la perdita di professionalità familiari, ha sicuramente favorito la presenza di lavoratori al nero, soprattutto nelle piccole imprese» commenta Ettore Ronconi della Flai Cgil. Alla luce di tutto questo e in vista di Expo 2015 – appuntamento che sarà dedicato interamente al cibo – mi chiedo: riusciremo ad essere credibili, se non sappiamo neanche come facciamo il nostro pane e il nostro olio?