La questione è annosa e riguarda il «valore» della materia prima che i trasformatori, con un occhio ai listini internazionali del Pecorino Romano DOP in recente ridimensionamento, tendono a contenere, mentre i produttori di latte e le loro organizzazioni rivendicano regole certe per tutti e forme di adeguamento del prezzo del latte al mercato dei formaggi, denunciando le possibili forme di pressione mediatica sull’anello debole della filiera.
Il problema, come accennato, non è di oggi. Un tempo c’era la legge 306/1978, che prevedeva l’intervento nelle trattative per il rinnovo del prezzo del latte – bovino, ma anche ovino e caprino – di una figura terza, la Regione: ma è stata ritenuta troppo «invasiva» del mercato da parte dell’Unione europea e abbandonata. Doveva essere sostituita da strumenti giuridici indipendenti, ma i risultati sembrano deludenti. Si è anche cercato di stabilire una relazione diretta tra il mercato del formaggio – quasi la metà del latte ovino diventa Pecorino Romano- e il valore del latte necessario a produrlo. Ma anche questo metodo non ha avuto seguito, né nel comparto bovino e bufalino, né in quello ovicaprino.
Oggi siamo alla «guerra» dei numeri, iniziata in primavera dalla parte industriale con una lettera di Legacoop, Consorzio del Pecorino Romano e Confindustria Sardegna alla Regione Sardegna che riportava una previsione di incremento produttivo di latte e di Pecorino Romano insostenibile dal mercato. La risposta dei rappresentanti degli allevatori non si è fatta attendere: previsioni esagerate, non confermate in seguito e tali da avere un effetto deprimente sulle trattative per il prezzo del latte alla stalla che hanno continuato a svolgersi a livello locale, se non direttamente tra compratore e allevatore.
Fonte: L’Informatore Agraraio