Pasta: un percorso recente che mostra il successo nei mercati per i prodotti certificati IGP
Prodotto iconico per eccellenza, simbolo dell’identità culinaria del nostro Paese, la pasta è uno degli alimenti più celebri della tradizione italiana. La sua origine risale alla fine del XVI secolo, quando nel napoletano comparvero i primi pastifici a conduzione familiare, ma fu solo a partire dal Settecento che cominciò ad affermarsi come piatto principe della Dieta Mediterranea. Il primo riconoscimento di Indicazione Geografica per la pasta italiana è arrivato in anni recenti, nel 2013, con l’iscrizione della Pasta di Gragnano nel Registro europeo dell’IGP, sebbene la prima tappa del processo di armonizzazione europea sulla normativa concernente i regimi di qualità dei prodotti agroalimentari risalga al 1992, con il primo tentativo compiuto dal legislatore di disciplinare in maniera organica la protezione delle IGP e delle DOP dei prodotti agricoli e alimentari. Dopo la registrazione della Pasta di Gragnano IGP, altre quattro specialità italiane sono state iscritte nella Classe 2.5 Pasta alimentare del registro europeo e sono nell’ordine: i Maccheroncini di Campofilone IGP (12/11/2013), i Cappellacci di Zucca Ferraresi IGP (08/02/2016), i Culurgionis d’Ogliastra IGP (28/09/2016) e i Pizzoccheri della Valtellina IGP (28/09/2016). Il 2020 ha registrato in Italia la conferma dell’importanza della pasta, percepita come alimento essenziale, cibo di conforto per eccellenza, elemento insostituibile di uno stile di vita sano e mediterraneo. Secondo un’elaborazione di Unione Italiana Food su dati IRI, nell’ultimo anno i consumi domestici di pasta sono aumentati del +5,5% a volume e del +10% a valore. Nel 2020 sono entrati nelle dispense degli italiani oltre 50 milioni di confezioni di pasta in più, con punte negli acquisti di circa il +40% a marzo e del +10% tra ottobre e novembre, a riprova del fatto che, anche nei momenti più difficili, alla pasta non rinunciamo. Non solo: una ricerca Doxa rivela che 1 italiano su 3 ha sperimentato nuove ricette e che alla pasta sono state dedicate centinaia di conversazioni e foto sui social, con quasi 270mila citazioni negli ultimi 6 mesi su Facebook, Twitter e Instagram. Da 22 anni il 25 ottobre si festeggia il World Pasta Day. In una recente edizione – ad un think tank di sociologi, medici, produttori industriali e artigianali, food writer, tecnici della sostenibilità e manager del delivery, guidati da un analista specializzato nello studio delle possibili dinamiche a medio e lungo termine – è stata posta la domanda: “Come mangeremo nel 2050? Cosa troveremo a tavola tra 30 anni?” La risposta non ha lasciato spazio a dubbi: anche se cambieranno gli stili alimentari e le abitudini di vita, di certo la pasta sarà sempre più presente nella tavola e nel cuore degli italiani, specialmente nelle sue versioni più semplici.
Il primo riconoscimento comunitario di qualità assegnato alla pasta in Italia e in Europa
Pasta di Gragnano IGP – GUUE L 270 del 11.10.2013
Se l’Italia è il Paese della pasta, Gragnano ne è sicuramente la capitale. La storia che lega questo comune in provincia di Napoli alla pasta ha origini lontane nel tempo. È alla fine del XVI secolo che nacquero sul territorio i primi pastifici a conduzione familiare e risale al 1845 il primo riconoscimento ufficiale, quando Ferdinando II di Borbone conferì ai pastai gragnanesi l’alto privilegio di fornire la Real Casa di tutte le paste lunghe. Da allora Gragnano è riconosciuta ufficialmente come la “città della Pasta”. Un territorio naturalmente vocato a questa produzione per il suo clima mite e per l’acqua pura delle sue falde, oltre che per il saper fare dei pastai, un’arte tramandata di generazione in generazione. A metà del XIX secolo i pastifici erano più di cento e producevano oltre mille quintali di pasta al giorno. Il Novecento è il secolo della lavorazione industriale, delle innovazioni tecnologiche e dell’aumento della produzione. Nel nuovo millennio arrivano finalmente i frutti di tanto appassionato lavoro: dal 2013, la Pasta di Gragnano è tutelata dal marchio IGP, la prima ed unica nel comparto della pasta di semola di grano duro ad ottenere tale riconoscimento. L’Indicazione Geografica protetta, il cui obiettivo principale è tutelare il consumatore da contraffazioni e abusi, certifica la tradizione secolare ed il legame indissolubile con il territorio di produzione.
“Da secoli l’arte di fare la pasta è radicata nel territorio di Gragnano e dei suoi abitanti – ha detto a Consortium Massimo Menna, presidente del Consorzio di tutela –. L’IGP ha rappresentato un’ulteriore attestazione di questa eccezionale storia produttiva. Scegliere la Pasta di Gragnano IGP vuol dire essere consumatori consapevoli ed esigenti, attenti alla tradizione e all’alta qualità garantita dal rigido disciplinare di produzione”. I prodotti che vogliono fregiarsi di questo marchio, infatti, devono rispettare quanto previsto dal disciplinare ed essere soggetti a controlli periodici da parte di un ente certificatore. Un’ulteriore garanzia e rassicurazione per il consumatore, un ulteriore impulso all’economia di un prodotto d’eccellenza. Oggi Gragnano è la prima città in Italia per produzione ed export di pasta secca di semola di grano duro e circa il 60% dei formati di pasta si deve alla creatività dei pastai gragnanesi che da secoli danno forma all’ “oro bianco” attraverso le trafile in bronzo. Nel 2020 sono state prodotte 92mila tonnellate di Pasta di Gragnano IGP (+30 % sul 2019), a conferma di un trend consolidato di crescita che, dal 2017, registra un aumento annuo costante di 20mila tonnellate. A tutelare e promuovere questa eccezionale storia produttiva c’è il Consorzio di tutela della Pasta di Gragnano IGP, fondato nel 2003, nel quale confluiscono 13 dei 23 pastifici attualmente attivi. Una compagine consortile che rappresenta oltre il 97% in termini di volume prodotto e valore della produzione della Pasta di Gragnano IGP, che nel 2020 è stimato per 300 milioni. “Il nostro Consorzio – conclude il presidente Menna – è costantemente impegnato, con partecipazione unanime, nell’attività di promozione e tutela di una delle denominazioni più rappresentative del made in Italy”. Sono infatti in programma importanti iniziative di comunicazione e promozione sui media tradizionali, progetti sul fronte della ricerca e della formazione rivolti a tutti gli stakeholder della filiera produttiva, nonché a giovani e studenti, proseguendo nelle azioni di vigilanza e monitoraggio nazionale ed estero, sia online che offline.
Campofilone: un piccolo Comune dove tutti fanno la pasta
Maccheroncini di Campofilone IGP – GUUE L 302 del 13.11.2013
Campofilone è un Comune marchigiano di 12 chilometri quadrati di superficie e appena 1.920 abitanti, situato in posizione collinare lungo la costa adriatica tra San Benedetto del Tronto e Fermo, a dominare la bassa valle del fiume Aso. L’antico borgo è conosciuto soprattutto per la preparazione dei celebri Maccheroncini, una varietà di pasta all’uovo che nel 2013 ha ricevuto la denominazione IGP e che fa da traino all’economia dell’intero territorio. Sebbene poco esteso, esso conta infatti ben 8 pastifici di piccola e media grandezza che producono questa specialità, celebrata da 57 anni nella Sagra Nazionale dei Maccheroncini di Campofilone, che si svolge ad agosto presso l’orto abbaziale del piccolo centro. La creazione dei Maccheroncini, tramandata di generazione in generazione, si deve all’ingegno e alla fantasia delle donne campofilonesi, insieme alla necessità di sopperire alla mancanza di alcuni alimenti nelle varie stagioni dell’anno. La pasta essiccata, infatti, era più conveniente di quella fresca perché si conservava molto meglio e poteva essere consumata sempre. Inizialmente la grossolanità del taglio aveva l’inconveniente di far incurvare la pasta, che si rompeva in più punti; quando però si iniziò a tagliarla in fili sottilissimi, ci si accorse che si spezzava meno. Già nel Quattrocento i Maccheroncini venivano considerati un piatto prelibato e citato in una corrispondenza dell’Abbazia di Campofilone, in alcuni documenti del Concilio di Trento e nei quaderni di ricette di alcune case nobili, ma solo con l’inizio del Novecento questa pasta all’uovo, detta a capello d’angelo per la sua forma a lunghi fili, cominciò a diventare molto popolare. Una volta le vergare (le rezdore – o sfogline – marchigiane) portavano in dote la capacità di tirare la sfoglia sottilissima con il matterello e tagliarla a mano, ottenendo fili di pasta di nemmeno un millimetro di spessore, talmente esili da cuocersi in un minuto e da sciogliersi in bocca, abilità che oggi si è trasferita nei laboratori specializzati del territorio. Solo uova da galline allevate a terra, alimentate con cereali no Ogm e senza pigmenti sintetici e farina di grano. Dalla data della registrazione ad oggi non si è ancora costituito un Consorzio. “La nostra responsabilità come impresa è quella di realizzare progetti incisivi – racconta Enzo Rossi – titolare dell’azienda La Campofilone – mi piacerebbe se riuscissimo a costituire un Consorzio, perché aiuterebbe a promuovere e tutelare questa eccellenza italiana. Noi come azienda abbiamo creato un forte legame tra la tradizione agricola di questa terra e l’innovazione. Investiamo molto per la sicurezza dell’intera filiera agroalimentare, sosteniamo la ricerca e favoriamo una politica ambientale integrata con i nuovi indirizzi di sviluppo sostenibile. Sarebbe bello poter condividere questi obiettivi”.
“Nel disciplinare di produzione dei Maccheroncini di Campofilone IGP – racconta Vincenzo Sandro Spinosi, titolare dell’omonima azienda – è indicato il nome di mio padre Nello, che a Campofilone ha avuto il primo laboratorio artigianale per la produzione di questa eccellenza. La sagra dei Maccheroncini che si svolge nel mese di agosto attrae moltissimi turisti dalla costa e ha contribuito e contribuisce in larga misura alla diffusione della notorietà di questo prodotto, anche se, contemporaneamente, cresce pure il rischio di imitazione e bisogna perciò stare molto attenti alla tutela”.
Il piatto preferito del duca Alfonso II d’Este
Cappellacci di Zucca Ferraresi IGP – GUUE L 32 del 09.02.2016
Cappellacci di Zucca Ferraresi IGP sono il piatto simbolo della cucina di Ferrara. Si tratta di una pasta alimentare fresca ripiena, la cui sfoglia è ottenuta dalla lavorazione di una miscela di farina di grano tenero e duro unita a uova, con un particolare ripieno costituito da uno dei grandi prodotti di questa terra, la zucca gialla violina, la cui polpa viene prima cotta poi insaporita con formaggio grattugiato e noce moscata. Sono detti Cappellacci per la tipica forma tondeggiante e ripiegata, a imitazione del tradizionale cappello di paglia dei contadini. I primi riferimenti a una preparazione di pasta con la zucca si ritrovano nei ricettari rinascimentali degli scalchi al servizio della famiglia d’Este di Ferrara, che governò la città dal 1186 al 1597. Gli ingredienti erano gli stessi della ricetta attuale, se non fosse per l’aggiunta di alcune spezie all’epoca particolarmente diffuse, come riportato nel libro di ricette di Giovan Battista Rossetti, cuoco presso la corte del duca Alfonso II d’Este, pubblicato con il titolo “Dello Scalco” nel 1584. Il riconoscimento IGP è stato ottenuto nel 2016 ed è stato salutato come premio al lavoro di quanti, artigianalmente o in modo industriale, contribuiscono quotidianamente a far conoscere e apprezzare uno dei prodotti più tipici del territorio. Consortium ha sentito Paolo Govoni, Commissario straordinario della Camera di Commercio di Ferrara, ente che ha sostenuto e sostiene questa registrazione, in mancanza di un Consorzio di tutela.
“Il mondo delle imprese agroalimentari ferraresi – commenta Paolo Govoni – non ci parla solo di competitività, di fatturati e di export, ma richiama e incarna un modello di sviluppo decisamente più a misura d’uomo, che sa tenere insieme la capacità di conquistare nuovi mercati e la valorizzazione del capitale umano e che ha fatto della coesione sociale, dei rapporti coi territori e con le comunità, un fattore produttivo determinante. È una ricchezza che crea valore dal punto di vista culturale, sociale ed economico, cui si aggiunge l’effetto generato dal connubio ormai inscindibile turismo–enogastronomia, che contribuisce a potenziare la conoscenza e il favore dei prodotti tradizionali all’estero, nonché a preservare aree svantaggiate e a sviluppare sistemi locali. La domanda di Italia nel mondo – conclude Govoni – è, oggi più di ieri, legata alla qualità, alla bellezza, alla cultura e all’innovazione, e sta a noi dare risposte sempre adeguate. Per farlo, il cammino intrapreso deve andare avanti, favorendo quelle imprese che, con gli occhi alla tradizione e con i piedi nei territori, guardano verso il futuro, innovando e servendosi delle nuove tecnologie e del nostro ricco capitale umano; riducendo gli spazi di mercato sottrattoci da chi ‘tarocca’ le nostre eccellenze; sostenendo quelle regole che, senza inutili appesantimenti burocratici per le imprese, alzano l’asticella e collocano il sistema produttivo al riparo dalla concorrenza sleale e dalle tempeste che ci hanno colpiti e che il futuro ci riserverà. Sotto tale luce, l’eccellenza dei nostri imprenditori è una indicazione preziosa per capire le radici e il presente del made in Italy, per affrontare i problemi che ne sacrificano le potenzialità e per tracciare nuove ambiziose rotte verso il futuro”.
Una visibilità enorme grazie all’IGP
Culurgionis d’Ogliastra IGP – GUUE L 262 del 29.09.2016
I Culurgionis d’Ogliastra IGP sono una pasta fresca che presenta la forma di un fagottino, chiuso a mano in modo da formare una sorta di spiga, che racchiude all’interno un ripieno costituito da una miscela di patate fresche o disidratate in fiocchi, formaggi sardi (casu axedu, pecorino, caprino, vaccino) e aromi che possono essere menta, aglio, basilico o cipolla. La zona di produzione dei Culurgionis d’Ogliastra IGP comprende numerosi Comuni della provincia di Nuoro e tre Comuni della provincia del Sud Sardegna. A quasi quattro anni dall’ottenimento del riconoscimento IGP, nel 2020 si è costituito il Consorzio di tutela.
“Lo consideriamo un punto di partenza e non di arrivo – ha sottolineato il presidente Vito Arra –, e desideriamo aumentare sensibilmente il numero degli iscritti così come le quantità prodotte. La nuova struttura intende accogliere non solo i produttori, ma anche i confezionatori che hanno sede nell’areale di produzione e che si iscrivono al sistema di controllo. Vogliamo promuovere la partecipazione di pastifici, strutture di confezionamento, ristoranti, aziende agrituristiche o strutture ricettive che ne abbiano i requisiti e ci rendiamo disponibili a fornire tutte le informazioni necessarie agli interessati”. Nel 2020 i Culurgionis d’Ogliastra IGP hanno registrato un incremento dell’export del +5% e nel periodo del lockdown è aumentato anche il consumo sul suolo nazionale, nonostante si sia registrato un crollo di vendite ai ristoranti pari al -45%. “L’area che ha fatto riscontrare un boom di acquisti è il Nord Italia – aggiunge Arra – in cui la clientela più vasta è stata quella delle catene commerciali dell’alimentare. Il +15% significa un incremento di 15 tonnellate di prodotto”. Il crescente gradimento sulle tavole degli italiani dimostra come i Culurgionis siano oggi conosciuti anche in territori dove solo fino a qualche tempo fa neanche venivano presi in considerazione dai grossisti del settore alimentare. La svolta è avvenuta dopo il 2016, proprio con l’ottenimento dell’IGP. “Il marchio ha dato al prodotto Culurgionis d’Ogliastra una visibilità enorme – conclude Arra – e le vendite sono in progressivo aumento”.
Prodotti con grano saraceno
Pizzoccheri della Valtellina IGP – GUUE L 262 del 29.09.2016
I Pizzoccheri della Valtellina IGP sono una pasta alimentare ottenuta da una miscela di almeno il 20% di farina di grano saraceno unita a sfarinati di altri cereali. Sono immessi al consumo nelle tipologie pasta secca e pasta fresca. Come pasta secca possono essere commercializzati nei formati di tagliatello steso, gnocchetto e tagliatello avvolto, mentre nella tipologia fresca è presente solo il formato tagliatello. Vengono prodotti in tutto il territorio di Sondrio. La tradizione dei Pizzoccheri della Valtellina IGP deriva dal largo impiego nella cucina locale di un ingrediente fondamentale come il grano saraceno, che caratterizza il colore e il sapore di questa pasta. Il nome “saraceno” fa subito pensare all’Oriente perché è da lì che questo seme, naturalmente privo di glutine, è arrivato in Italia ai tempi della Serenissima. A causa delle sue proprietà nutrizionali e dei notevoli impieghi alimentari, viene spesso classificato come un cereale, nonostante non appartenga alla famiglia delle Graminacee. La sua coltivazione si è sviluppata in Valtellina fino all’Ottocento poiché, essendo una pianta a ciclo vegetativo molto breve, era perfetta come coltura intercalare e la sua grande capacità di adattarsi ai territori alpini faceva sì che potesse essere seminata nella prima parte dell’estate e raccolta poco prima della semina autunnale. Tale velocità di crescita e maturazione rende il grano saraceno perfetto per i climi in cui le estati sono brevi e fresche. Tuttavia, nel corso dell’Ottocento la situazione cambiò a favore di altri prodotti ed oggi nella provincia di Sondrio esistono solo alcune colture, per un totale di circa 20 ettari, anche se, dopo la registrazione dell’IGP, c’è un nuovo interesse nel recuperare questa coltivazione.
“Il Consorzio di tutela dei Pizzoccheri della Valtellina IGP – racconta a Consortium il presidente Fabio Moro – riunisce 4 produttori di pasta secca e fresca. Purtroppo ancora non siamo riusciti a fare aderire le gastronomie e il motivo credo sia soprattutto perché la registrazione è sulla pasta e non sulla preparazione del piatto finito. Dal 2016 i volumi sono molto cresciuti, nel 2020 parliamo di oltre 1 milione e 900mila chili. C’è molto interesse da parte della GDO, che con le private label sceglie e propone produzioni di eccellenza. Collaboriamo con Conad ‘Sapori e dintorni’, con Aldi per la linea ‘Regione che vai’ e lavoriamo molto bene con l’ente certificatore CSQA, che segue attentamente la nostra registrazione. Il Pizzocchero si propone in tanti modi, non solo nella preparazione più conosciuta; nel 2001 abbiamo fatto la scelta precisa di registrare la pasta e non la ricetta, che avrebbe richiesto l’STG. Facciamo molti controlli nei ristoranti, che non possono più riportare il nome per esteso in menu se non utilizzano i Pizzoccheri della Valtellina IGP prodotti secondo disciplinare. Troviamo parecchia resistenza, sia da parte delle gastronomie che dei ristoranti, ma è un lavoro necessario. Con l’IGP la produzione ha cominciato a crescere, nel 2020 siamo arrivati quasi a due milioni di chili; se si considera un etto per persona, parliamo di 20 milioni di piatti all’anno, un bel risultato, che vogliamo comunque migliorare. Sta andando bene anche l’export – conclude Moro – in Europa, soprattutto nei Paesi confinanti, ma anche in Canada, Stati Uniti, Giappone e Nuova Zelanda. Come Consorzio abbiamo aderito al Distretto Agroalimentare di qualità valtellinese e insieme ai Consorzi del Bitto DOP, Valtellina Casera DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mele della Valtellina IGP e ai vini della Valtellina collaboreremo per la promozione e la valorizzazione dei nostri prodotti di qualità”.
a cura della redazione
Fonte: Consortium 2021_02