Il Sole 24 Ore
Parlare di bocciatura è forse eccessivo, viste le cifre e la complessità degli interessi in gioco. Leggendo con attenzione gli emendamenti alla riforma della Politica agricola comune approvati giovedì dalla commissione Agricoltura dell’Europarlamento (ridotti da oltre 8mila a 200 dopo un lavoro estenuante) emerge però, nonostante le dichiarazioni di facciata, una visione radicalmente diversa del ruolo della prima politica economica europea rispetto alle proposte della Commissione Barroso. Per prima cosa va specificato che il passaggio parlamentare, fondamentale per l’adozione della riforma dopo l’introduzione della co-decisione con il Trattato di Lisbona, «congela» la decisione definitiva in attesa del Consiglio europeo del 7 febbraio «perché – ribadisce Paolo De Castro – senza adeguate garanzie sui finanziamential settore per i prossimi sette anni, siamo pronti a far saltare la riforma». Intanto sarà proprio De Castro, con il mandato ricevuto giovedì, a dover negoziare per conto del Parlamento con Consiglio e Commissione, testando così il peso di Strasburgo nelle nuove gerarchie europee. Le principali novità rispetto alle proposte dell’esecutivo riguardano innanzitutto i criteri di distribuzione dei fondi tra Stati membri. Uno dei punti più delicati della riforma: in base ai parametri proposti nessun partner potrà percepire meno del 65% della media UE; per l’Italia, secondo le primissime valutazioni, ci sarebbe un miglioramento di circa 44 milioni annui con la riforma a regime. La redistribuzione interna degli aiuti inoltre non potrà penalizzare chi oggi riceve di più, che potrà vedersi tagliare i premi fino a un massimo del 30 per cento.