Nonostante le tante Denominazioni e Indicazioni Geografiche per l’extravergine, le produzioni certificate continuano a essere piuttosto marginali e, con poche eccezioni, non godono di un adeguato riconoscimento in termini di prezzo.
Tra i punti di forza del settore olivicolo spicca l’enorme patrimonio varietale, costituito da oltre 500 cultivar, circa il 40% di quelle conosciute a livello mondiale. Una così ampia biodiversità è dovuta alla complessità geografica del territorio nazionale, dove la coltivazione dell’olivo è storicamente presente in aree climatiche e territori estremamente diversificati che vanno dalle colline friulane fino alla Sicilia, e dalla montagna alle pianure litoranee. Questa ricchezza si estrinseca nell’alto numero di riconoscimenti comunitari arrivati a fine 2020 a 48 (42 DOP e 6 IGP) ma la nota dolente è che alla vasta numerosità di territori caratterizzati da una propria Ig corrisponde soltanto una produzione certificata che nella normalità dei casi non supera il 2-3 per cento dei volumi complessivi. L’ultima indagine condotta da Ismea – Qualivita, sulla base dei dati forniti dagli enti di certificazione, attesta la produzione 2019 a poco più di 1 l mila tonnellate, per un valore all’export stimato a 56 milioni di euro, mentre quello al consumo è stimato in 134 milioni di euro (Rapporto 2020 sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP, IGP e STG, dicembre 2020, Ismea – Qualivita). Sul perché le Indicazioni geografiche (IG) nell’olio siano in termini di produzione certificata molto lontane da quella potenziale ci si interroga a più livelli. La risposta più frequente attiene alla redditività: in molti areali, il prezzo del prodotto certificato non si discosta in modo significativo da quello “convenzionale” e questo scoraggia molti produttori che non vedono la convenienza economica a portare a termine l’iter della certificazione e a sostenere i relativi costi. Peraltro, i prezzi di vendita degli oli IG hanno una variabilità molto elevata la cui motivazione spesso sfugge al consumatore che, mediamente, deve ancora imparare a conoscere meglio il patrimonio olivicolo nazionale.
Fonte: Olivo e Olio