Il vino ha un Dna. Decifrarlo consente l’autenticazione varietale delle denominazioni, utile a tutelare la qualità e a reprimere le frodi. Delle metodologie che permettono di stabilire la corrispondenza della struttura molecolare tra le matrici della vigna e del vino e degli strumenti disponibili perla tracciabilità della filiera si è parlato nel corso del convegno «De vini veritate», che si è svolto a villa Lebrecht di San Floriano, organizzato dal dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona e dall’azienda agricola Costa degli Ulivi di Fumane, che ha già fatto tracciare il Dna del Valpolicella Classico biologico di propria produzione. «Partiamo dalla costatazione che produzione e commercio di vino sono in aumento. La domanda allora è: ciò che promette l’etichetta si trova esattamente sempre nel bicchiere?», si interroga Giorgio Sboarina, alla guida dell’impresa agrituristica e vinicola. A rispondere sono le cifre rese note dal Comando provinciale della Guardia di finanza di Verona.
Nel biennio 2013-2015 le Fiamme Gialle hanno sequestrato in tutta Italia 74 milioni di litri di vino – soprattutto in Lombardia, Emilia Romagna e Puglia – e 24 mila tonnellate di mosti ed uve. Si tratta – sottolineano – di un mondo che macina miliardi, che vale sul fronte delle esportazioni e dove i tentativi di contraffazione si sprecano. Come limitare il fenomeno, tutelando produttori e consumatori? «Dal 2009 lo spin off accademico Serge-genomics dell’Università di Siena lavora per conto dell’Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau (Ttb) per l’autenticazione varietale del vino mediante test sul Dna. Oramai è provato che la tracciabilità molecolare dei vitigni attraverso il test funziona soprattutto per monovarietali», spiega Rita Vignani, ricercatrice del laboratorio di genomica dell’ateneo senese.
Fonte: L’Arena