Il Messaggero
ROMA – L’Italia si prende la rivincita. Così, dopo anni di sudditanza dei mercati mondiali di fronte a Champagne e Camembert, soufflé e profiterolles, avanza nell’immaginario gourmet del mondo un buono tutto tricolore, che non è solo fatto di cuochi e di ricette, ma anche di prodotti, di culture, di storie. Un modello complesso, che crea mercato, compresi i suoi derivati perversi, ovvero tutte quelle variazioni sul tema della contraffazione che ci costano un immenso danno economico, oltre che confusione di immagine. Una grande occasione per lanciare la sfida del tricolore goloso, insomma. Come è successo in occasione delle Olimpiadi di Londra dove Casa Italia è stata il palcoscenico per lanciare il progetto intelligente e aggressivo di «True Italian Food and Wine». I cuochi emiliani, in segno di solidarietà verso la loro regione devastata dal terremoto hanno fatto da testimonial per raccontare il buono made in Italy attraverso ricette e prodotti: dal «Re culatello» di Massimo Spigaroli del Cavallino Bianco di Polesine Parmense, un autentico poeta della nostra cultura gastronoinica tradizionale, alle ricette sublimi e modernissime di Massimo Bottura della Francescana di Modena, miglior cuoco d’Italia secondo la Guida de l’Espresso. Londra, tuttavia è stata solo uno start-up per un programma ad ampio raggio che prevede la creazione di un network internazionale di ristoranti, caffè, botteghe, dove si possa degustare e raccontare il meglio della nostra produzione. La tendenza sta funzionando, come dimostra Eataly, anche se l’obiettivo di True Italian è tutto internazionale, con l’ambizione di non vendere tanto culatelli e mozzarelle, quanto di «raccontare la nebbia di Zibello o i prati di Battipaglia», insomma anche una divulgazione culturale del nostro stile di vita come amano dire Gianluigi Contin e Gianni Prandi, soci fondatori. Il progetto, che parte da Londra si svilupperà – tra il 2013 e il 2017 – anche in Usa, India, Russia e Cina. Il formato è quello Lo chef Massimo Bottura Contro i prodotti falsificati parte una campagna internazionale di una casa madre, «Casa Italia», tanto per non equivocare, con tutta una serie di luoghi satellite dove si compra, si assaggia, si racconta l’Italia dell’eccellenza gastronomica. Un punto fisso sarà l’assoluta originalità italiana dei prodotti, indispensabile anche perché le ricette portino davvero il nostro stile nel mondo. Il problema, peraltro, non è solo culturale, perché sfruttando quello che viene chiamato l’italian sounding (ovvero tutte quelle operazioni che vanno dal marketing disonesto, alle frodi e alle contraffazioni e che giocano sull’italianità apparente di nomi e prodotti) molte imprese disoneste ci sottraggono grosse quote di mercato. I numeri mettono i brividi: se 23 sono i miliardi di euro del fatturato dell’export dell’agroalimentare made in Italy, 60 sono il derivato delle falsificazioni di prodotti nazionali; 13 miliardi di euro è il valore dei prodotti nella sola Ue, contro 21 miliardi dell’italian sounding, senza contare che il 45 per cento delle mozzarelle sono fatte con latte e cagliate straniere e due prosciutti su tre sono prodotti con maiali di altri Paesi e venduti come italiani. «Anche per questo ho voluto cambiare il nome al mio ristorante», spiega Massimo Bottura, il vertice dei cuochi tricolori, che a Londra ha stregato i palati con piatti genialmente concettuali come il suo «oooops, mi è caduto l’erbazzone» (la torta di bietole e Parmigiano tradizionale del reggiano), rivisitazione di un piatto povero destrutturato per raccontare la poesia dell’imperfezione. «Così la mia vecchia Francescana, tutta ristrutturata, verrà inaugurata il 3 settembre col nuovo nome di Vieni in Italia con me, perché cucina e prodotti a parte, ogni componente di arredo è espressione del meglio del nostro artigianato di qualità: dai mobili agli apparati di stereofonia. Io credo che anche la cucina possa fare la sua parte nel rilancio del nostro Paese».