La Stampa
Ha un sapore di ritorno all’antico, ma anche di soluzione per evitare speculazioni sul nome Moscato: è un po’ questa la filosofia che anima Giovanni Bosco (presidente del Ctm), nel riproporre con forza la denominazione Moscato d’Asti Spumante DOP, accanto a quella dell’Asti DOP e del Moscato classico, il tappo raso per intendersi. Bosco, ne ha parlato ieri l’altro in un’affollata assemblea a Santo Stefano. In sintesi, questa è la proposta: «Oggi le uve destinate a Moscato DOP o Asti sono quelle dei 95 quintali a ettaro ma c’è il supero da 95 a 120 che potrebbe diventare Moscato d’Asti Spumante. Si vede già in giro sugli scaffali una cosa del genere, venduta da alcune ditte anche a 2 euro in più dell’Asti, ma è vino fatto con uve pagate meno ai produttori».
Come dire, tanto vale che ne statuiamo l’esistenza. Non è la prima volta che Bosco tocca questo argomento e poco per volta pare guadagnare consensi, da parte di organizzazioni professionali e dei produttori. In particolare di quelli che già stanno facendo esperimenti (con positivi riscontri), dei loro Moscati dei “Sori” con vigneti nelle migliori esposizioni. Il Coordinamento Terre del Moscato, che il suo presidente definisce un «movimento di opinio ne», si pone quindi di nuovo come pungolo per l’intero settore. Ad ascoltare le proposte di Bosco, c’era anche il direttore del Consorzio di tutela Giorgio Bosticco: «Il mio commento è su due piani diversi. Come Consorzio, la legge stessa ci consente di proporre modifiche al disciplinare se c’è un ampio consenso da parte delle aziende.