Alla scoperta del consorzio piemontese Barbera d’Asti e Vini del Monferrato che comprende 4 DOCG e 9 DOC
Tredici denominazioni, 65 milioni di bottiglie, 11 mila ettari vitati. Sono i numeri del Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato, che rappresentano l’aspetto enologico di un territorio che è un po’ l’altro Piemonte.
Altro rispetto alle Langhe, di cui è sempre considerato il fratello minore malgrado nulla abbia da invidiare a esso in termini di bellezza del paesaggio, di cultura e anche di qualità dei vini. Un recente viaggio che abbiamo fatto in questa terra ricca e varia, dai confini slabbrati, che si estende tra le province di Asti e Alessandria, tra il Po e l’Appennno ligure, ce lo ha dimostrato.
Nel corso del nostro itinerario ci siamo focalizzati naturalmente sul vino, che è faccenda nostra e abbiamo assaggiato diverse etichette di alcune delle denominazioni raccolte nel consorzio guidato da Filippo Mobrici, che sono quattro DOCG (Barbera d’Asti, Nizza, Ruchè di Castagnole e Terre Alfieri) e nove DOC (Albugnano, Cortese dell’Alto Monferrato, Dolcetto d’Asti, Freisa d’Asti, Grignolino d’Asti, Loazzolo, Malvasia di Castelnuovo Don Bosco, Monferrato e Piemonte).
Ovviamente tutto o quasi ruota attorno alla Barbera, uva estremamente versatile, a lungo considerata l’ape operaia dell’enologia piemontese, perché resistente, molto produttiva, adatta a dare vini che si esprimono bene sia in purezza sia in blend. Negli ultimi anni però alcuni produttori hanno dimostrato la capacità della Barbera di diventare un vino di grande classe e pure notevolmente longevo, senza perdere con il tempo quelle caratteristiche di spiccata acidità che ne fa anche un vino estremamente in linea con lo Zetigeist enologico che privilegia i vini freschi a quelli dalla castagna pesante.
Facciamo qualche esempio: tra i Barbera d’Asti DOP abbiamo degustato e apprezzato il 360° Collezione Al Casò 2019 di Alice Bel Colle, con il suo naso di viole e prugne e la sua bocca sapida e composta; il Lavignone 2019 di Pico Maccario, fresco e rotondo; il Superiore Tre Vescovi 2018 della Cantina sociale di Vinchio e Vaglio Serra, che fa sei mesi di botti di rovere, magnifico per asciuttezza e classe; il Mysterium 2017 di Tenute Montemagno, che porta al naso frutti di bosco e un tocco di incenso e in bocca un frutto pieno e turgido. Altro focus dedicato ai Nizza Monferrato DOP, un vino che negli ultimi anni è diventato un po’ la punta di diamante del territorio. Tra i vari assaggi citiamo il Vignali Riserva dell’Armangia, che fa un anno in botti piccole, un anno in botti grandi, poi da 18 a 36 mesi in bottiglia e che reca con sé sentori di ciliegie, mandorle, pietra focaia e in bocca è pieno e con un legno assai ritroso; e il Riserva Bricco Roche della tenuta Il Falchetto, speziato e potente. Infine una nota per uno vino semplice ma intrigante: il Monferrato Rosso Hosteria di Bonzano, floreale, bevibile, godibile. Pop ma senza sbrachi.
Fonte: Il Giornale