All’inizio furono Campagnole, Galletti, Molinetti, Pale e Tarallucci. E poi Abbracci, Canestrini, Ciocchini e Baiocchi; un’abbuffata di vezzeggiativi e diminutivi al servizio di un messaggio che prometteva salute e gusto nel segno della tradizione.
L’Italia dei primi Anni ‘70 ha da poco abbandonato il pane e latte la mattina, ma considera ancora la colazione come un pasto quasi solo per i bimbi. Nelle piazze ci sono forti tensioni politiche e una cultura che continua a guardare con sospetto all’industria alimentare. Serve un nome che veicoli il contrario di quello che la gente teme.
L’aiuto arriva dalla Francia, dove il gruppo ha già una linea “Moulin Blanc”. Ma c’è ancora molto da fare: fino a quel momento i biscotti industriali sono tondi o quadrati, tutti identici e impilati uno sull’altro, in confezioni che li proteggono. Qui, invece, la tendenza Mulino Bianco si impone: al di là degli ingredienti come il latte fresco e le uova, ampiamente illustrati, c’è la necessità di avere nella stessa confezione biscotti che sembrino usciti da un vecchio forno.
Così la prima mossa sono 72 stampi differenti per ottenere prodotti leggermente diversi tra loro. I sacchetti gialli con dentro i biscotti sfusi richiamano quelli delle botteghe artigiane. Anche il logo è memoria immaginaria: il Mulino Bianco si ispira alle illustrazioni di inizio Novecento e viene creato come una vecchia litografia.
Nell’ottobre del ‘75 lo sbarco sul mercato, con un manifesto che è un inno al passato felice: «Quando i mulini erano bianchi i biscotti sapevano di burro, di latte, di grano, Domattina, cercali al Mulino Bianco». Dire che funziona è un eufemismo.
L’anno dopo il lancio, mentre i biscotti inchiodano al tavolo della colazione sempre più famiglie – all’inizio degli Anni ‘80 due terzi delle vendite sono consumati proprio in quel pasto – ci sono già le fette biscottate e i grissini Barilla che cambiano nome e finiscono sotto il nuovo brand. Da lì in avanti una valanga di grano, zucchero, latte. E spot televisivi. E perfetto anche il luogo scelto per girare gli spot: il Mulino delle Pile, a Chiusdino, in provincia di Siena, a pochi chilometri dall’Abbazia di San Galgano. Però è in pietra a vista: ci vorrà un corposo maquillage a colpi di pannelli di cartongesso per farlo diventare bianco.
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Fonte: La Repubblica