I grandi rossi a denominazione di origine, non solo italiani, registrano un calo di mercato del 15 per cento. Pesano le bollicine e il rosé e i cambiamenti del clima
«Il vino è come un semaforo. Quando è rosso bisogna fermarsi». Alessandro Pipero, del ristorante stellato di Roma che porta il suo nome, uomo di sala e sommelier, con una metafora sottolinea che un grande rosso ha bisogno di uno stop, di una pausa perché merita tempo, riflessione, concentrazione.
Va da sé allora che i vini bianchi siano percepiti come meno impegnativi e che riescano a mettere tutti d`accordo, complice anche una diffusa sensazione del bianco come di vino spesso più leggero e di minor gradazione alcolica.
E il tempo non è solo quello della degustazione, ma anche quello che serve a una bottiglia per respirare. Un Barolo DOP, solo per fare un esempio, ha bisogno di venir aperto 15-20 minuti prima per ossigenarsi. Al ristorante non sempre si ha la voglia di attendere.
Non stupisce che il mercato certifichi un vistoso sorpasso dei bianchi sui rossi. Dal confronto tra le tendenze del 2023 e quelle del 2019 si evidenzia in generale un calo dei consumi di vino dell`8%, con un vero e proprio crollo dei rossi (-15%).
Peccato, perché sono proprio brand come Brunello di Montalcino DOP, Amarone della Valpolicella DOP o Barolo DOP i simboli della produzione enologica.
La crisi non riguarda solo gli italiani: anche i rossi francesi hanno subito una frenata del 15% nelle esportazioni e nei consumi interni. E gli americani sono meno rossisti che in passato.
I dati dell’Oiv, Organizzazione internazionale della vigna e del vino, parlano dell`aumento del consumo globale di bianchi e rosati (rispettivamente del 10% e del 17%), registrando poi un boom degli spumanti, trainati dal successo del prosecco, in Germania, Stati Uniti e Regno Unito.
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Fonte: La Repubblica