Una produzione antica che con l’IGP ha dato identità, favorito la coesione territoriale e creato valore economico
È stato il primo melone italiano ad aver ottenuto l’IGP nel 2013 ed è tuttora l’unico in Italia che può fregiare di questo riconoscimento europeo. Già famoso e ricercato alla corte dei Gonzaga, il melone trova nelle terre mantovane un habitat ideale, diventando una produzione apprezzata per le qualità organolettiche e significativa per l’economia del territorio. E proprio il suo ruolo di volano per lo sviluppo di un’area economicamente depressa, ha spinto le amministrazioni locali e i produttori ad allearsi (non senza molte difficoltà ma con tanta determinazione) per chiedere la IGP. Un riconoscimento considerato determinante per qualificare e differenziare sul mercato il melone mantovano, tutelandone un ventaglio di varietà indispensabile per soddisfare la domanda e per accompagnarne l’evoluzione.
IGP un’intuizione vincente
A distanza di cinque anni, la scelta di percorrere la strada del riconoscimento europeo si è rivelata vincente: l’IGP ha creato aggregazione tra i produttori, ha dato riconoscibilità (e quindi identità) al Melone Mantovano IGP e ne ha valorizzato economicamente la produzione; quindi ha centrato l’obbiettivo di spingere lo sviluppo del territorio. Tanto che l’areale di produzione, inizialmente limitato alle province di Mantova e Cremona, si è poi ampliato fino a includere anche quelle di Ferrara, Modena e Bologna. Oggi al Consorzio di Valorizzazione e Tutela del Melone Mantovano IGP aderiscono 32 produttori e altri 11 soci iscritti. La produzione media si aggira sulle 10.200 tonnellate ottenute su oltre 1.000 ettari di terreno. Ma quest’anno i volumi sono crollati del -24% (dati relativi a maggio e giugno 2019) a causa delle condizioni climatiche particolarmente avverse, viste le precipitazioni intense e le basse temperature registrate in primavera. In questi mesi, dunque, sul mercato sono arrivate poco più di 1.400 tonnellate (maggio e giugno 2019) di Melone Mantovano IGP, suddivise tra le tre tipologie riconosciute dalla UE.
La più consistente in termini di volumi è quella del melone retato con fetta, che rappresenta il 90% circa della produzione e che è ben posizionato anche nella distribuzione moderna. Questo melone, il “cantalupo italiano”, si caratterizza per il profumo intenso e la polpa dolce: plus organolettici completamente naturali. Sono, infatti, i terreni fortemente argillosi e melmosi in cui cresce il Melone Mantovano IGP a determinarne il profumo e a renderlo più dolce, a parità di grado zuccherino, rispetto a quelli che provengono da terreni sabbiosi.
La seconda tipologia tutelata dalla IGP è rappresentata dai meloni retati senza fetta – tipologia Harper: si tratta di varietà molto tradizionali, ancora oggi apprezzate dai consumatori ma che scontano una certa “inattitudine” alle richieste dei mercati moderni. In particolare, a soffrire è il melone retato senza fette a buccia gialla a causa della shelf-life troppo breve (pochi giorni). “Dura” più a lungo il melone retato senza fette a buccia verde, che, però, paga lo scotto di una concorrenza fatta di produzioni massive e di scarsa qualità, che ha sminuito il valore e il percepito di questa tipologia di prodotto. Molte, invece, le potenzialità e l’interesse che accompagnano il melone liscio – tipologia Tamaris, la terza categoria tutelata dalla IGP.
Coltivato quasi esclusivamente nell’areale mantovano per essere distribuito a nicchie di mercato, sta dando grandi soddisfazioni ai produttori e, grazie al retrogusto ricco di aromi e profumi, ha conquistato chef e gourmet, diventando fortemente distintiva della produzione IGP.
A cura di Manuela Soressi
Fonte: Consortium 2019/03