La mela è una specificità ad alto valore aggiunto in Trentino: la frutticoltura pesa nella regione per il 33% e le mele rappresentano l’82% del valore della produzione di frutta. Dal programma di sviluppo rurale del Trentino emerge che la provincia è abitata da poco più di mezzo milione di persone e ha una superficie di 6.200 chilometri quadrati, classificati per il 97,5% come “area rurale con problemi complessivi di sviluppo”. In questo contesto la filiera melicola rappresenta un vero e proprio patrimonio prezioso sotto molti punti di vista: un ruolo che verrà celebrato l’8 e 9 ottobre con la tradizionale festa della mela, Pomaria, in Val di Non e Val di Sole.
La coltivazione di mele in Trentino infatti, al di là del valore economico generato in agricoltura e nell’indotto, è un’attività che affonda le sue radici da secoli e assume un ruolo sociale e di salvaguardia del paesaggio e dell’ambiente. I meleti interessano una superficie di circa 11mila ettari e quasi 5.900 aziende, per lo più concentrate nella Val di Non, regno della Mela Val di Non DOP, certificata dal 2003, che in base al disciplinare di produzione prevede la coltivazione di tre varietà: Golden Delicious, che garantisce quasi il 70%della Produzione lorda vendibile melicola provinciale, Red Delicious e Renetta del Canada. Il riconoscimento DOP rientra all’interno del marchio «Melinda»- Consorzio cui fanno capo 16 cooperative e 4mila famiglie.
Negli ultimi anni l’offerta di mele in Trentino si è ampliata, riqualificata e rinnovata, con una profonda ristrutturazione degli impianti che hanno sfruttato ancora di più la forte vocazionalità del territorio. Ciò ha consentito da un lato di soddisfare le esigenze del mercato, anche estero (che assorbe circa un quarto delle vendite), dall’altro di contenere i problemi di malattie delle piante nelle zone meno vocate per alcune varietà.
La produzione di mele in provincia, che quest’anno è prevista in leggero calo (522mila tonnellate, -3% in base a stime Assomela– Csoltaly), è quasi interamente ottenuta con metodo di agricoltura integrata. E per mettere a punto una frutticoltura sempre più sostenibile, sicura e a minore impatto ambientale, nel giugno scorso è stato tra l’altro sottoscritto il Programma servizi 2o16 tra la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige, centro di formazione, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico ormai noto a livello internazionale, e l’Apot (Associazione produttori ortofrutticoli trentini). «Una convenzione che si rinnova da otto anni – osserva Alessandro Dalpiaz, direttore di Apot e di Assomela – e che risponde alle richieste dei produttori di introdurre adeguate tecniche di coltivazione a sostegno del reddito aziendale e rispettose dell’ambiente».
Fonte: Il Sole 24 Ore