Il mondo delle DOP e IGP, comparto di punta dell’alimentare, guarda al domani con fiducia. Il direttore di Qualivita e Consortium, Mauro Rosati, indica la rotta da seguire per le eccellenze italiane: sostenibilità, sinergia, interazione con cultura e turismo
«Se il settore agroalimentare ha continuato a lavorare, sia pur a scartamento ridotto, nel comparto vitivinicolo l’emergenza ha colpito più duramente. Il blocco del canale horeca e quello dei flussi turistici sono stati la prima vera causa della crisi. Crisi che non supereremo dall’oggi al domani.. Lo scenario che si prospetta è insomma tutto in salita». Con queste parole Mauro Rosati, direttore di Consortium, il trimestrale del Poligrafico dello Stato che si occupa del mondo consortile delle DOP e IGP, apriva il suo editoriale sul numero di aprile–giugno, scritto in piena pandemia.
A mesi di distanza, il quadro appare molto diverso, illuminato da un ottimismo che fa sperare bene, temperato da una saggia prudenza. Il pessimismo del settore era espresso in una sorta di doglianza corale praticamente da tutti i responsabili dei Consorzi di produzioni, vini inclusi, interpellati dal magazine. Un panel di eccellenze che va dal Prosciutto di Parma al Parmigiano Reggiano, dal Prosecco al Chianti, dalla Mozzarella di Bufala campana all’Asiago, per nominarne soltanto alcuni. Un giro virtuale tra i principali Consorzi e le filiere italiane di qualità che rimarrà nella storia del settore come una drammatica fotografia nel pieno dell’emergenza Coronavirus. Ma se da un lato c’era la rilevazione statistica di qualcosa che se non appariva come un crollo ci andava vicino (per fare un solo esempio il Prosciutto di Parma denunciava un calo del 30% delle vendite) dall’altro lato venivano già indicate alcune idee forti per la ripresa, con linee guida trasversalmente condivise dalle varie realtà.
La normalità sembra a portata di mano
Prima tra tutte l’interazione sempre più stretta fra turismo e produzioni (storico caposaldo nella strategia di marketing delle “cantine aperte” nel settore vitivinicolo, oggi evolutasi in un’importante branca del turismo che non è più soltanto turismo del vino). Poi la tracciabilità e l’attendibilità della certificazione, che al Poligrafico, ente titolato all’emissione delle fascette, sta particolarmente a cuore, ma che ormai sta a cuore a tutta la filiera, fino al consumatore finale. «Quel dibattito – spiega Rosati – è frutto di una situazione che in piena pandemia era ben poco chiara. A un cambiamento dello stile di vita ha corrisposto un improvviso e radicale cambiamento del consumatore e dei luoghi di acquisto (pensiamo alla chiusura di tutto il mondo del fuori casa). Tantissime produzioni a denominazione di origine, compreso il vino, si sono trovate spiazzate… Era l’horeca il loro principale canale di riferimento, specie delle produzioni di eccellenza. La distribuzione moderna e i negozi alimentari, insieme ai Consorzi, hanno però intuito che dovevano creare occasioni nuove per riempire il vuoto lasciato dalla ristorazione, attivando iniziative comuni. E questo ha sopperito in parte al calo delle vendite». Anche il turismo, azzerato nel periodo del lockdown, ha rialzato la testa soprattutto a partire da fine estate. E grazie anche alla riapertura dei ristoranti, si è rigenerato un flusso economico interessante. «Possiamo dire che già a fine agosto molti numeri erano risaliti. Poi, con la ripresa in pieno dell’horeca siamo ritornati, se pur lentamente, a valori quasi normali».
Le misure del governo hanno dato frutti
E per quanto riguarda l’export, voce di rilievo per le nostre DOP e IGP? «Di fatto – osserva Rosati – al di là delle difficoltà di consegna di alcuni prodotti freschi quando c’è stato il blocco degli aerei (come mozzarella di bufala e burrata di Andria che hanno un mercato molto interessante in tanti Paesi) sul piano logistico la ripresa dei servizi è stata abbastanza veloce. Certo, la domanda di DOP e IGP all’estero ha sofferto tantissimo nei mesi del lockdown, ma stiamo registrando una decisa inversione di tendenza». Dopo la preoccupazione, l’ottimismo? «Quelle pagine sono state scritte prima che il governo intervenisse con strumenti importanti, quindi prima dell’entrata in vigore di tutti i decreti che sono stati varati. Hanno pesato in senso positivo sia a proposito del cosiddetto “pegno rotativo” sia per quanto riguarda il ritiro degli alimenti per gli indigenti, che ha coinvolto anche molti alimenti DOP e IGP, specie quelli a lunga stagionatura che all’inizio avevano avuto una sorta di stop generalizzato». «Oggi la preoccupazione – prosegue Rosati – è quella di capire quando si potrà nuovamente investire per fare promozione e tornare sui mercati internazionali, considerando che la ristorazione di fatto non ha ancora ripreso in pieno. Se in questi mesi assisteremo a una più accelerata ripartenza, a ruota il mondo dei vini, dei formaggi, dei salumi a lunga stagionatura e in generale tutti i protagonisti del comparto DOP e IGP ritroveranno i loro sbocchi. Sempre naturalmente che tutto proceda per il meglio e che non ci siano ricadute».
Dalla crisi un’opportunità
Peraltro, già in quei servizi pubblicati in piena emergenza Covid, si auspicava un forte rinnovamento del comparto. Si guardava al futuro. «Le aziende anche grazie alla crisi, se posso dire così, stanno promuovendo una trasformazione che guarda molto al delivery, all’on line, all’e– commerce. Prima erano considerati canali marginali, non prioritari, oggi invece l’attenzione è massima, anche da parte di piccole realtà. Un orientamento che non sembra avere carattere effimero ma strutturale». Si può dire allora che grazie alla resilienza del fior fiore delle produzioni, se non ci saranno ricadute, ci potremmo addirittura trovare in una situazione migliore, più avanzata? «Io penso di sì – afferma Rosati – perché a ben vedere il sistema agroalimentare non ha subito l’impatto che ad esempio ha colpito il settore del turismo, con perdite enormi. Non ci sono aziende in fallimento o in chiusura, nulla di paragonabile agli alberghi che non hanno riaperto, alle strutture che hanno chiuso. Le piccole aziende sono in una situazione critica, difficile, ma non così allarmante, e gli strumenti messi in campo dal governo piano piano stanno facendo un certo effetto. Se la domanda riprenderà come prima, saranno in grado di risollevarsi e nel frattempo le più organizzate hanno imparato a muoversi all’interno di canali che non ritenevano congeniali, come la distribuzione moderna e l’e–commerce. Alcune realtà vinicole che già avevano attivato dei portali per la vendita online hanno realizzato 4–5 milioni al mese di fatturato. Ecco, credo che alla luce di un mercato tornato normale, le nostre aziende alimentari e vitivinicole avranno la capacità di essere nuovamente quelle che erano e alcune addirittura, avendo imparato qualcosa di nuovo, saranno ancora più presenti».
La leadership del made in Italy
Non si tratta di fare ognuno per sé, l’intento è quello di costruire infrastrutture digitali robuste ed efficienti a disposizione di tutti. Per quanto riguarda per esempio l’e–commerce la logica che viene sostenuta anche dal governo, non è quella che ognuno sviluppi il suo portale, che ovviamente può fare, ma investire su piattaforme comuni dove bisogna essere presenti in modo organico e omogeneo, con grande vantaggio per tutti e soprattutto per le piccole e medie aziende. Una unità di intenti e una confluenza di sforzi che dovrebbe aumentare la capacità di affermazione delle nostre produzioni in Italia e all’estero. «Le potenzialità ci sono tutte – osserva Rosati –. Anche perché il Made in Italy continua a mantenere una leadership nel mondo. Insomma, la nostra immagine non si è offuscata, come si poteva temere all’inizio della pandemia, visto che siamo stati i primi in Europa a essere colpiti…Anzi, forse ne stiamo uscendo meglio di tutti gli altri». C’è qualche Consorzio che ha avuto più soddisfazioni, qualche esperienza da additare a modello? «L’esperienza più avanzata è stata forse quella del Parmigiano Reggiano. Qualche mese fa, il Consorzio in assemblea sociale ha deliberato di ritirare il prodotto per un controvalore di 150 milioni di euro per far fronte al rischio che precipitasse il prezzo sui mercati, visto l’atteggiamento degli importatori esteri che avevano sospeso gli acquisti. Un’azione tempestiva che ha consentito a tutta la filiera di limitare i danni e ritrovare il giusto guadagno ora che la domanda si è ripresa»
Il Green Deal è la prossima sfida
È una bella dimostrazione di come i consorzi nel mondo delle denominazioni possano avere un ruolo decisivo nel fare da scudo al valore della filiera e impedire alle crisi di travolgere le singole aziende. Senza dimenticare gli interventi di marketing che hanno contribuito a dare ossigeno al mercato. Per esempio il Consorzio della mozzarella di bufala (il più importante marchio DOP del centro sud) durante l’emergenza sanitaria ha spostato il suo target dal mondo delle pizzerie (chiuse per Covid) al mercato domestico, quindi raggiungendo direttamente il consumatore attraverso i canali della GDO e dei negozi alimentari, grazie anche a una comunicazione mirata. Nel mondo del vino alcune tipologie come il lambrusco e il prosecco hanno visto addirittura un’impennata delle vendite. C’è qualcosa che il settore dovrebbe chiedere all’Europa, al governo? «In questa fase – sottolinea il direttore di Qualivita – credo che sia stato fatto molto, con tutti i distinguo del caso. Gli interventi ci sono stati, poi naturalmente si fa una legge ma per applicarla ci vuole del tempo, abbiamo una burocrazia pesante, lo sappiamo, ma da qualche parte poi si arriva. Ora è il momento di fare tesoro di questa esperienza e di impostare un lavoro nuovo, raccogliendo la sollecitazione che viene dall’Europa, ovvero la sfida del Green Deal». Sono gli stessi documenti della Commissione europea a spiegare chiaramente di cosa si tratti. Una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l’Unione Europea in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva, che entro il 2050 non genererà emissioni di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse.
L’Europa chiede un patto fra istituzioni, cittadini, industria e lavoratori per raggiungere questo obiettivo. «Al di là della solennità dei principi generali – spiega Rosati – ci sono cose molto concrete da fare… e da fare subito. In gioco c’è la necessità di conservare e migliorare il nostro capitale naturale e proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze. Una sfida che richiederà massicci investimenti pubblici e maggiori sforzi per indirizzare i capitali privati verso interventi a favore del clima e dei territori, evitando nel contempo la dipendenza da pratiche insostenibili». Ed è importanti che le aziende agroalimentari si impegnino da subito ad avviare la transizione verso la sostenibilità, il benessere animale, un impatto ecologico più contenuto. Non è una questione ideologica. Si tratta anche di essere pronti a raccogliere finanziamenti, incentivi. La strada che viene indicata dall’Ue, l’unica che può essere coronata da successo, è quella di rendere convenienti le pratiche virtuose, incentivandole. A cominciare da quei settori che hanno ora un grande impatto ambientale. «È importante giocare d’anticipo – conferma Rosati – perché il nostro sistema di DOP e IGP è considerato un modello a livello mondiale. In questi anni siamo stati gli alfieri di una strategia, in cui il territorio è diventato l’elemento più importante per il successo e la diffusione di un prodotto, a garanzia della sua provenienza, della sua autenticità. Ed è indubbiamente merito dei Consorzi di tutela, che hanno saputo valorizzare le nostre eccellenze e il loro stretto legame con il territorio».
Il territorio vince se c’è sostenibilità
«Ma attenzione – avverte il direttore – questo oggi non basta più. Ci sono altri aspetti che dobbiamo garantire, tracciare e che sono decisivi nella scelta di un prodotto da parte del consumatore. E sono proprio gli aspetti legati alla sostenibilità sociale, ambientale ed economica. Il comparto vitivinicolo è forse più maturo, più pronto a raccogliere la sfida. Nel food, pensiamo alla zootecnia, il processo di adeguamento richiede più tempo. Ma la cosa più importante è che questa transizione inizi, in una logica di “sistema Italia”, perché ne va dell’immagine di tutti. Il famoso soft power della nostra nazione, infatti, non è legato solo alla cultura, ma anche all’enogastronomia e al territorio. Per parlare di grandi temi e di grandi strategie, conclude – dobbiamo approfittare del Recovery Fund e cogliere l’ opportunità di costruire un sistema alimentare in linea con le esigenze del consumatore moderno, che vanno verso la sostenibilità a tutto tondo».
Fonte: Linea Diretta