Editoriale di Mauro Rosati. In Italia il caso della chiusura della Pernigotti ha riaperto il dibattito su quali strumenti giuridici si possono attivare per trattenere le aziende a produrre nei territori di origine. Forse in questo caso se ci fosse stata la registrazione IGP del Gianduiotto Piemontese si sarebbe evitata la delocalizzazione.
Il fatto che il gianduiotto sia incluso tra i prodotti agroalimentari tradizionali (P.A.T.) non è sufficiente a garantire il mantenimento della produzione sul territorio, come invece sarebbe stato con le registrazioni DOP e IGP, che vincolano rigidamente la produzione all’area indicata nel disciplinare. Anche il vicepremier Di Maio è intervenuto sulla questione annunciando una proposta di legge che lega i marchi italiani al territorio.
Ma la questione è molto più ampia e complessa, frutto di un cambiamento dei consumi a livello mondiale che negli ultimi anni ha fatto aumentare le scelte per i prodotti alimentari con un’origine di provenienza certa. Le etichette, ma anche i claim e le campagne di comunicazione hanno riferimento fisso il nome geografico dei prodotti: l’acqua Fiji, lo Champagne, il Prosciutto di Parma, i Vini della Napay Valley, tanto per citarne alcuni e far comprendere che il trend è globale e non più limitato a poche nazioni.
In questo contesto commerciale, si sono generate numerosi contenziosi fra territori ed aziende private, nonostante il WTO e la UE abbiano tentato di normare in qualche modo la materia attinente il rapporto fra diritti di Proprietà Intellettuali e le Indicazioni Geografiche.
Per capire la complessa vicenda prendiamo il caso del “Toscano”, brand privato dell’azienda MST (Manifatture Sigaro Toscano) che rappresenta il prodotto di una trasformazione agricola quale il sigaro. Ma cosa hanno in comune il Sigaro “Toscano” con altri prodotti agroalimentari o vitivinicoli DOP IGP toscani? Innanzitutto il savoir faire di agricoltori e trasformatori riconducibili ad un determinato territorio, l’essere entrambi i prodotti finali di una filiera agricola e rappresentare in qualche modo dei simboli del lifestyle toscano nel mondo.
C’è però una differenza sostanziale: il Sigaro “Toscano” è un marchio privato regolarmente registrato di proprietà della MST e, in quanto tale, è utilizzabile solo dalla suddetta impresa, mentre gli altri prodotti DOP IGP sono Indicazioni Geografiche il cui nome è utilizzabile da tutte quelle aziende del territorio toscano che aderiscono al disciplinare e ne rispettano le regole di produzione. Quindi se un giovane imprenditore toscano volesse iniziare a produrre un formaggio utilizzando il nome “Pecorino Toscano DOP” (così come il “Pane Toscano DOP” o il “Prosciutto Toscano DOP”) potrebbe farlo, ma se volesse confezionare dei buoni sigari coltivando tabacco in toscana e trasformandolo nel medesimo territorio non potrebbe chiamarlo Sigaro “Toscano”.
Negli ultimi anni, con l’aumentare delle richieste di protezione per i prodotti ad Indicazione Geografica, ci si è chiesti come far coesistere marchi ormai diventati brand privati con le indicazioni geografiche che portano con sé lo stesso nome geografico. In questo caso il termine “toscano”.
Sulla base di questa dualità – che il consumatore globale di fatto ignora – con la caratterizzazione di uno stesso termine geografico coesistono prodotti agricoli ed alimentari che, come nel caso del Sigaro “Toscano”, l’azienda proprietaria del brand potrebbe decidere di produrre in qualsiasi altro Paese del mondo godendo della stessa reputazione di quel termine – in questo caso “toscano”- che di fatto viene mantenuta con il lavoro delle imprese agroalimentari che “creano” in Toscana i loro prodotti.
Ciò determina, quindi, un’asimmetria fra le imprese e soprattutto un’asimmetria nel mercato perché il termine geografico induce il consumatore ad avere una certa considerazione dei prodotti in quanto provenienti ipoteticamente da un determinato territorio, quando in realtà potrebbero non esserlo.
In futuro ci troveremo a gestire, vista questa possibile convivenza fra brand privati e indicazioni geografiche, una serie di criticità e conflitti di interesse. Se l’azienda detentrice di un brand privato con una menzione geografica avesse comportamenti lesivi nei confronti dei consumatori o della reputazione del territorio, come si potrebbero tutelare le imprese ed i cittadini di quel territorio?
Insomma, si pone ancora una volta il problema di come riuscire a proteggere un bene collettivo come il nome di un territorio e la sua reputazione nel mercato globale. È possibile pensare che in presenza di diritti privati legittimi che però possono intaccare gli interessi collettivi, altrettanto legittimi, si debba cominciare A ragionare diversamente.
Si potrebbe chiedere a tutte le aziende che utilizzano brand geografici di rispettare minime regole etiche, come già avviene nei centri storici per alcune tipologie di attività commerciali? Oppure addirittura ipotizzare una royalty e destinarne il ricavato a sostegno delle imprese del territorio che non delocalizzano ?
Le DOP e le IGP, comunque la si pensi, stanno dentro ad un ragionamento di utilizzo del territorio che guarda al futuro in maniera più democratica.
Mauro Rosati
Direttore Generale Fondazione Qualivita
Fonte: Huffingtonpost