Nel giro di poco più di un mese sono state pubblicate due leggi, la n. 30, 1 aprile 2022, «Norme per la valorizzazione delle piccole e medie produzioni agroalimentari di origine locale», e la n. 61, 17 maggio 2022, «Norme per la valorizzazione e la promozione dei prodotti agricoli e alimentari a chilometro zero e di quelli provenienti da filiera corta», che aggiungono altri tre marchi collettivi al mare magnum di quelli che interessano il settore agroalimentare: la prima istituisce il logo «PPL – piccole produzioni locali» e la seconda i loghi «chilometro zero» e «filiera corta».
Il primo logo potrà essere riportato in etichetta di prodotti agricoli sia primari sia trasformati ottenuti presso l’azienda agricola e destinati in limitata quantità al consumo immediato e alla vendita diretta e potrà essere esposto nei locali di vendita, nei mercati e negli esercizi commerciali; gli altri due non possono essere apposti sui prodotti e sulle loro confezioni, mentre possono essere esposti nei locali di vendita diretta, nei mercati, negli esercizi commerciali e di ristorazione e anche nei punti vendita della grande distribuzione.
Obiettivo valorizzare la produzione
Comune ad ambedue le leggi è l’obiettivo della «valorizzazione» delle produzioni agroalimentari che rispondono ai requisiti richiesti, ma lo stesso obiettivo era dichiarato anche dall’art. 8 del decreto legislativo 10 aprile 1998, n. 173, che ha istituito il logo «Prodotti agroalimentari tradizionali» (PAT), di cui oggi possono fregiarsi, dopo l’ultimo aggiornamento, ben 5.450 prodotti inseriti nell’elenco nazionale del Mipaaf.
Ma non è finita qui, perché ci sono i marchi comunitari DOP IGP STG, che nel nostro Paese, in base ai dati della Fondazione Qualivita, sono ben 877, di cui 317 negli alimenti, 526 nel vino e 34 negli spiriti, a cui si aggiunge il marchio comunitario delle produzioni biologiche e quello delle produzioni di montagna. Certificazione di qualità dei prodotti agroalimentari è anche attestata dai marchi delle Regioni, ad esempio «Qualità Verificata» (Qv) del Veneto, «Qualità Controllata» (Qc) dell’EmiliaRomagna e altre ancora, a cui si somma la valanga delle denominazioni comunali di origine (De.Co.) nate grazie alla legge n. 142 dell’8 giugno 1990 che consente ai Comuni di legare un prodotto agroalimentare al rispettivo territorio.
Per non farci mancare nulla, ricordo che i prodotti agricoli e alimentari possono anche fregiarsi del marchio dei sistemi di qualità a cui aderiscono (ad esempio, Sqnpi, Brc, Ifs e altri ancora). Certamente il produttore ha diritto che venga riconosciuta e tutelata con un marchio collettivo la proprietà intellettuale delle caratteristiche qualitative di un prodotto che derivano da quello che i francesi chiamano terroir e savoir faire, e pure il consumatore preferisce essere informato da un marchio, disciplinato dalla legge, dell’origine e delle caratteristiche qualitative del prodotto che gli viene offerto. Per queste ragioni un marchio può certamente contribuire a valorizzare il prodotto che se ne fregia.
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Fonte: L’informatore Agrario