La mafia a tavola: il business dell’illegalità gastronomica, che aggredisce il Made in Italy, conta su un giro di affari che vale 4,3 miliardi di euro, registrando un incremento dell’840% rispetto allo scorso anno. Questa la fotografia di un nuovo fronte della criminalità scattata da Legambiente che anticipa, per FestambientExpo a Milano, i dati sulle “agromafie” del rapporto Ecomafie 2015. Uno scorcio di illegalità che nell’agroalimentare vede consumarsi più di 21 reati al giorno: in tutto 7.985 le infrazioni penali accertate nelle varie filiere agroalimentari, con 14.917 denunce penali e 126 arresti, a fronte di quasi 200 mila controlli effettuati dalle forze dell’ordine, e il sequestro di beni per un valore stimato di oltre 3,6 miliardi (cifra che schizza a più di 4,3 miliardi se si aggiungono anche il valore delle sanzioni e i contributi illeciti percepiti).
I dati di Legambiente sulla filiera illegale nell’agroalimentare nel 2014 fanno registrare «un’impennata d’affari» sporchi pari a «otto volte (4,3 miliardi) la cifra dell’anno precedente, che oscillavano intorno ai 500 milioni di euro». A spartirsi la torta ci sono «ben 30 clan mafiosi»; e seduto a tavola c’è «il gotha delle mafie: dai Gambino ai Casalesi, dai Mallardo alla mafia di Matteo Messina Denaro, dai Morabito ai Rinzivillo». Una vera e propria «scalata mafiosa» che «spesso approda nella ristorazione, dove gli ingenti guadagni accumulati consentono ai clan di acquisire ristoranti, alberghi, pizzerie, bar», trasformandoli in «posti ideali dove “lavare” denaro e continuare a fare affari».
Fonte: L’Avvenire