L’Italia fascista aveva deciso di invadere l’Etiopia e la Società delle Nazioni scelse l’estrema ratio. Nella storia del Novecento le sanzioni economiche sono sempre frutto di scelte politiche, e all’economia – piaccia o no non fanno bene. Il caso delle sanzioni occidentali verso la Russia non sfuggono alla regola. Putin dice che l’Italia ha perso finora un miliardo di euro. La stima è realistica: secondo Confindustria nella seconda metà dell’anno scorso l’interscambio ha lasciato sul terreno 500 milioni. La previsione per l’intero 2015 vale il triplo, lo 0,4 % del nostro export. Una cifra che salirebbe fino a 2,5 miliardi tenendo conto del ritmo di crescita iniziato negli ultimi anni. Non è un danno enorme, e per chi teme la Russia di Putin è probabilmente un prezzo che val la pena pagare.
II calo dei fatturati. Non la pensa così chi deve fare i conti con il calo dei fatturati. Luigi Scordamaglia è presidente di Federalimentare e numero uno di Inalca, gruppo Cremonini: «Le sanzioni sono l’occasione d’oro per chi vuole rubarci quote di mercato». Inalca cresce in Russia prima con la distribuzione di prodotti alimentari italiani, ora alleva anche bovini in Russia per il mercato russo. «Per noi il danno è contenuto. Il danno è semmai strutturale, alla forza del Made in Italy». All’inizio – era marzo del 2014 – le sanzioni vanno in un solo senso: dall’Italia e dalla UE verso la Russia, solo nei settori in cui c’è il rischio di esportare tecnologie militari. Il problema per il Made in Italy si fa serio da agosto, quando Mosca per ritorsione bandisce l’import di una lunga serie di alimenti. Da quel momento mozzarelle, latticini, uva e fragole, ortaggi, carni e salami non hanno più passato la frontiera. Volano le importazioni da Brasile, Argentina, Israele. Sui banchi dei supermercati russi appaiono mozzarelle turche, carne sudamericana, uva cilena.
Fonte: La Stampa