Dop economy: il made in Italy di qualità nel food non è solo buono e salutare, ma anche profittevole: vale più di 20 miliardi. Solo che è sempre più arduo da salvaguardare.
Lo abbiamo sempre saputo, ma vale la pena ricordarlo: come si mangia (e beve) in Italia, non si mangia da nessun’altra parte! A certificarlo, ancora una volta, un indicatore che negli ultimi anni ha assunto una valenza molto importante, visto che rientra nella strategia Farm to Fork intrapresa in sede Ue come parte fondamentale di quel Green Deal europeo annunciato a fine 2019, che mira a far raggiungere l’impatto climatico zero al Continente entro il 2050.
Tema particolarmente interessante, nel contesto della strategia europea è la riforma del sistema delle IG, ovvero delle Indicazioni Geografiche, le certificazioni che oggi contraddistinguono quei prodotti agroalimentari e vinicoli che rispettano determinati disciplinari produttivi, per le quali, il 28 febbraio scorso, è stato approvato un nuovo regolamento dal Parlamento Europeo.
E qual è il Paese europeo che vanta il maggior numero di prodotti DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione Geografica Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita)? Bingo! Sui 3.151 prodotti DOP, IGP, e STG europei, ben 853 sono italiani, contro i 713 francesi, 357 spagnoli, 262 greci, 193 portoghesi e 142 tedeschi (per citare solo i numeri più alti).
Ma quanto valgono questi 853 prodotti? Il Rapporto Ismea-Qualivita 2023, frutto della sinergia fra l’Osservatorio Ismea e l’Osservatorio Qualivita con la collaborazione di Origin Italia, dei Consorzi di tutela, degli organismi di controllo e delle autorità pubbliche di vigilanza, analizzando e interpretando i più significativi fenomeni socioeconomici relativi all’anno 2022 per il comparto, ha fotografato i numeri di quella che è stata battezzata come Dop Economy.
Si tratta di cifre che mettono in risalto la forte stabilità di un settore che è cresciuto nonostante le difficoltà derivate da emergenze climatiche, problematiche fitosanitarie e fluttuazione dei mercati.
Per la prima volta, infatti, la Dop Economy supera i 20 miliardi di valore alla produzione, un’escalation incredibile se si pensa che appena vent’anni si fermava a 5 miliardi.
Con una crescita del 6,4% sul 2021 e un contributo del 20% al fatturato dell’intero settore agroalimentare italiano. Si tratta per la precisione di 8,85 miliardi per il comparto cibo (+9%) e di 11,33 miliardi per il comparto vino (+5%).
Su questi risultati ha influito anche una certa spinta inflattiva, ma è interessante notare anche il balzo in avanti dell’export di prodotti IG, per un totale di 11,6 miliardi di euro (+8% sul 2021).
Per quanto riguarda i vini, DOP e IGP rappresentano a valore quasi il 90% del totale delle esportazioni delle nostre cantine.
Il sistema italiano della Dop Economy conta 296 Consorzi di tutela autorizzati dal Ministero dell’agricoltura e ben 195 mila imprese delle filiere cibo e vino. Davvero interessanti i risvolti occupazionali, con un numero di rapporti di lavoro stimato in 580 mila unità della fase agricola (430 mila a tempo determinato, 50 mila a tempo indeterminato e 100 mila autonomi) e 310 mila unità nella fase di trasformazione (250 mila a tempo indeterminato e 60 mila a tempo determinato o stagionali).
Sono risultati davvero importanti, saremo capaci dí ripeterli? “Per il 2023 non abbiamo ancora dati, i primi bilanci verranno chiusi fra aprile e maggio”, ci dice Mauro Rosati, direttore generale della Fondazione Qualivita. “Fare previsioni è un esercizio delicato, come per tutti i settori quando di mezzo ci sono una forte inflazione, guerre, emergenze come quelle dovute ai cambiamenti climatici, incognite legate al costo delle materie prime. Non possiamo azzardare stime attendibili. Il comparto è sicuramente in salute e cresce ancora, le filiere DOP e IGP si stanno consolidando, le reti sul territorio sono sempre più forti. Possiamo magari sbilanciarci e dire che anche il 2023 avrà registrato un aumento – con un discorso a parte per il vino, con una vendemmia in forte calo e un mercato in fase di stop, ma se poi i consumi vanno giù a causa della guerra o dell’inflazione… bisognerà capire se sarà un aumento sostanziale o un aumento limitato”.
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Fonte: Business People