Il Sole 24 Ore
Terra di grandi vini rossi e, insieme, di bollicine. Terra di cantine storiche, di produttori familiari, che ha aperto le porte a multinazionali e investitori esteri – da Gancia a Cinzano alla Martini & Rossi – senza però perdere la scorza dura dei vecchi vinaioli. Il distretto del vino di Langhe Roero e Monferrato – a cui fanno capo i 3/4 della produzione vitivinicola regionale – si gioca tutto su qualità ed export: il 95% della produzione è a denominazione grazie a 37 tra Doc e Docg (contro il 64% della media italiana), con l’Asti che pesa per il 33% in Piemonte, il Barbera per l’11% e il Barolo per il 5%, con oltre 97mila ettolitri prodotti l’anno scorso, il 7% in più dell’anno prima. Le performance sui mercati esteri, che assorbono circa il 70% del vino, sono nei numeri: in dieci anni, come racconta l’elaborazione curata dall’Osservatorio sui distretti di intesa Sanpaolo, il valore dell’export raddoppiato, raggiungendo l’anno scorso il miliardo di euro. La Germania fai volumi, dicono i produttori con una battuta, gli Stati Uniti fanno i guadagni, mentre cresce il peso dei nuovi mercati, proprio sul Barolo, il signore dei rossi piemontesi, si gioca una partita importante che Bruno Ceretto, fondatore della cantina, sintetizza in una battuta: «Dieci anni fa si producevano 5 milioni di bottiglie, oggi siamo a quota 12 milioni, il rischio è che il prodotto si inflazioni. Il fatto che oggi il barolo sia presente anche nella grande distribuzione lo rende meno remunerativo».