Quanti uomini e quante donne hanno lavorato all’alimento che sta per finire nel nostro carrello? Da dove arrivano i componenti della confezione che stiamo aprendo? Visto che l’esigenza di conoscere i dettagli sulla produzione dei beni e servizi per i quali si spende cresce, tre fra le maggiori società di certificazione (Bureau Veritas, Certiquality e DNV GL), con il sostegno della Presidenza del Consiglio e ciel ministero dello Sviluppo economico, hanno data vita a una particolare etichetta. Questa, grazie ad alcune icone, spiega Valeria Fazio di DNV GL, «permette al consumatore di valutare la sostenibilità del processo produttivo, nei pochi attimi a disposizione per l’acquisto».
Si tratta della certificazione Social Footprint – Product Social Identity (SFP), che può essere richiesta volontariamente dalle aziende. Queste, facendosi certificare, si impegnano a migliorare le condizioni sociali dei diversi anelli della catena produttiva e a essere trasparenti sulla localizzazione dei fornitori e sul processo produttivo. Da fine aprile, quando è stato diffuso lo schema, si registrano già le adesioni di molte grandi aziende.
Fonte: Il Venerdì di Repubblica