La migliore sintesi del vertice Fao della scorsa settimana nel titolo dell’ Economist “Se le parole fossero cibo, non ci sarebbero più affamati”, che sottolinea la discrepanza tra l’enorme visibilita’ e risonanza e la scarsa incisivita’ e rilevanza reale dell’incontro. Dalla montagna di fogli, dichiarazioni e interventi del vertice, emergono in maniera sempre più evidente due aspetti: il primo è che gran parte delle problematiche relative al cibo, alle risorse idriche e energetiche, al clima e all’ambiente, ruotano attorno ad un solo elemento: l’agricoltura.
Il secondo, in apparenza meno importante, é che il problema degli approvvigionamenti alimentari, non appartiene esclusivamente ai Paesi in via di sviluppo, ma riguarderà nell’imminente futuro anche i Paesi più sviluppati, come il nostro. L’agricoltura come centro nevralgico di mille problematiche, ma anche di infinite possibilità; un’ agricoltura sempre più bistrattata e sempre più in difficoltà che dovrà affrontare in futuro diverse sfide importanti. Le congiunture interne ed esterne agli Stati stanno delineando due tendenze. Da una parte c’è la propensione dei grandi Paesi a ridurre le importazioni di cibo e provvedere da soli ai loro fabbisogni attraverso l’acquisto di terreni; lo stanno facendo già gran parte dei Paesi Arabi. Dall’altra, c’è una crisi economica globale che ha avuto un effetto domino su tutti i settori, compreso il mondo agricolo; non a caso, i nostri agricoltori continuano anche in questi giorni, per questo, ad occupare le piazze. Che il problema sia più serio del previsto si era anche capito lo scorso aprile al G8 con la conseguente mobilitazione di altri soggetti internazionali; infatti la sola Fao non è sufficiente ad arginare le crescenti necessità, in termini di sicurezza alimentare, e la conferma di questo limite si apprezza nelle parole oneste del direttore generale, al termine del vertice: “La dichiarazione adottata non contiene obiettivi misurabili né termini specifici entro cui essere realizzati”. L’incontro comunque è servito a delineare uno scenario su cui confrontarci, suddiviso in tre livelli di responsabilità: il primo è quello dei consumatori dei Paesi sviluppati e le loro politiche di acquisto sui prodotti alimentari; il secondo è quello delle imprese con il loro modello di sviluppo e soprattutto delle loro pratiche agricole, il terzo è quello della politica che dovrebbe fare da collante e delineare rotte certe da seguire. Per i primi due livelli mi sento di dire che già molto è stato fatto, mentre per la politica ho molte riserve; mi viene solo da suggerire che l’agricoltura non è una cenerentola ma il settore PRIMARIO e non a caso si chiama così. A questo punto non me ne voglia l’Economist per la correzione al titolo : “Se le parole fossero ascoltate, non ci sarebbero più affamati!