Cucina Internazionale
Per troppi anni il Lambrusco ha alimentato una fama che lo dipinge solo come vino quotidiano d’indole rustica che, a seconda dei gusti, viene bevuto in versione “amabile” o “secco” in base alla presenza di residuo zuccherino. Tutto questo non ha precluso un buon successo di vendite, sia sul territorio d’origine sia corno fenomeno d’esportazione, in particolare negli Stati Uniti. Negli ultimi tempi diversi interpreti, dai piccoli vignaioli ai grandi gruppi privati o cooperativi, hanno avuto un sussulto d’orgoglio capendo che ogni territorio ha le proprie specificità e che si riesce a trasmettere qualità senza rinunciare all’animo popolare che scandisce ogni bicchiere. Sfatiamo una credenza piuttosto diffusa
il Lambrusco non nasce da un unico vitigno ma si produce con uve “lambrusche “, ognuna con delle caratteristiche peculiari: grasparossa , salamino , marani, maestri , sorbara, malbo gentile sono tra le più note. E se i Lambruschi della zona di Sorbara sono pallidi, quasi rosati e di decisa acidità, quelli a base di grasparossa tingono il bicchiere con un profondo colore purpureo, dando corpo consistente e un buon ricordo fruttato. Diverse sono le metodologie di cantina che portano alla produzicne delle bollicine. Tra Modena e Reggio Emilia si preferisce il ricorso all’autoclave per spumantizzare, mentre nei parmense c’è tutta una cultura legata alla rifernientazione in bottiglia. La pattuglia dei produttori biologici al momento è ancora piccola nei numeri ma offre vini di grande personalità. L’azienda Venturini Baldini produce sui colli di Scandiano e Canossa una lunga serie di etichette il cui vertice è toccato dal Reggiano DOP Lambrusco Rosso Secco Roncolo (7 euro) fermentato con metodo charmat corto per un vino terroso, fruttato e piacevolmente rustico.
L’Emilia Romagna il suo Lambrusco